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È l'ora di Bruto, o di Cassio? L'ora in cui, grazie al segreto dell'urna, torneranno ad aleggiare i fantasmi di tutti i franchi tiratori della storia, di vecchie e nuove congiure, di patti traditi e accordi infranti? Chi può davvero fidarsi? Chi è sicuro di chi, o di cosa? È l'ora delle diffidenze reciproche, delle promesse e dei tradimenti, dei nomi bruciati e delle ambizioni deluse?
I
Silvio Berlusconi non si è ancora esposto: non del tutto. Deve sciogliere una riserva, e deve farlo quasi al buio: può contare su tutti i voti di Forza Italia? Forse, ma forse anche no. Di malumori ce ne sono di sicuro anche nelle file del suo partito. E sugli altri voti del centrodestra: Berlusconi può contare sul serio? Il vertice dell'altro giorno doveva servire a garantire compattezza e lealtà della coalizione sul nome del Cavaliere, ma un minuto dopo la sua fine, e l'ultima delle dichiarazioni ufficiali, i ragionamenti hanno preso un'altra piega: converrà andare al muro contro muro? Non siamo mai stati così vicini all'elezione di un presidente della repubblica espressione del centrodestra: siamo sicuri che la carta giusta sia Berlusconi? Non rischiamo di rimanere col cerino in mano? Non ci sono altri nomi meno ingombranti, da proporre? Salvini aggiunge a queste domande un altro dubbio, grande quanto una casa: ma non mi converrà mettere da parte Berlusconi e provare a costruire io, da capo della coalizione, il patto con gli altri partiti della maggioranza?
La diffidenza è ricambiata: come Berlusconi non può essere sicuro di Salvini, così Salvini e Meloni non possono esser sicuri che Berlusconi andrà sino in fondo. E se la sua candidatura fosse solo lo strumento attraverso il quale il Cavaliere ha cercato di recuperare centralità politica, riservandosi all'ultimo momento di farsi da parte, per essere lui a suggerire la scelta del successore di Mattarella? Lo pescherà lui tra i suoi: Gianni Letta, per esempio, o la presidente Casellati? Oppure punterà in seconda battuta su Giuliano Amato, o sullo stesso Draghi, lasciando così Salvini e il centrodestra con un pugno di mosche? Ma poi: siamo sicuri che se ne stiano tutti buoni in attesa delle mosse di Silvio? Sicuri che Gianni Letta, con i suoi appelli bipartisan, non stia lavorando per sé? Qualcuno lo sussurra, rischiando addirittura la lesa maestà.
Ovvio: dove più è alta la probabilità di accaparrarsi il risultato, più densa è la coltre di dubbi e di incertezze. Ma non è che nel centrosinistra siano messi meglio.
Insomma ci si può sbizzarrire, un principio d'ordine non è stato finora trovato, né c'è un modo perché tutti si sentano garantiti: l'elezione del presidente della Repubblica ha sempre vincitori e sconfitti. E, di regola, la linea di divisione attraversa i partiti. Prendete il Movimento Cinque Stelle, il gruppo parlamentare più numeroso, sarebbe naturale pensare anche quello decisivo: tutti i giochi passano per i Cinque Stelle, allora? Per niente affatto. Conte non ha potuto fare un nome che è uno, né formulare una proposta di metodo, o almeno un'agenda di lavoro. È già tanto se gli riesce di non farsi scavalcare da Di Maio. Il quale parlotta un po' con tutti e tiene i suoi contatti con le altre forze infischiandosene, in pratica, di quel che dice o fa il presidente Conte. L'uno non si fida dell'altro: e vorrei pure vedere, visto che hanno interessi opposti. Di Maio ha interesse a mostrare che Conte non è all'altezza del compito, Conte a marginalizzare Di Maio. Una partita nella partita, che non si chiuderà col voto del 24 gennaio.
Se questa è la situazione, come dar retta a chi promette voti, individuali o di gruppo? Dove porterà Renzi i suoi? Di sicuro, non c'è al momento chi sia disposto a fidarsi fino in fondo del Fiorentino. Che è veloce e brillante nell'esecuzione dei suoi disegni, ma anche spinto a muoversi da un'elementare esigenza di sopravvivenza politica. Quindi: va' a sapere. Va' a sapere cosa faranno quelli del gruppo misto, e i cani sciolti, e tutti quelli che in Parlamento non torneranno. E allora via: liberi tutti.
Dopodiché abbiate fiducia almeno in questo: un presidente verrà eletto. Ed è possibile persino che proprio i sospetti e le titubanze spingeranno gli attori politici ad acconciarsi a una qualche soluzione. Anzi, di solito funziona così: vince il «second best». La soluzione ottimale non passa, per veti e diffidenze reciproche, ma qualcosa salta pur sempre fuori, a spese delle primissime scelte. E di qualche segretario o presidente, che si leccherà amaramente le ferite.
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