Che si tratti dei 37 miliardi dei fondi europei del Mes, da spendere per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale, o che si ripieghi sulla fetta di circa 30 miliardi,...
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Quello che serve insomma è un vero e proprio Piano Marshall per tappare le crepe del sistema sanitario italiano e rimettere in piedi e in efficienza quello del Sud. Operazione che mira a tirare il freno allo stillicidio della migrazione sanitaria che da lustri sottrae preziosa linfa, centinaia di milioni di euro all'anno (300 annui solo in Campania) agli investimenti nella Sanità del Sud. Il Mezzogiorno pur potendo contare su singole eccellenze assistenziali emerse con nettezza durante la pandemia, paga pegno in termini di ritardi strutturali. Il piano degli investimenti programmato dal ministero con i fondi straordinari sarebbe pluriennale e poggia innanzitutto sulla ristrutturazione della rete ospedaliera. La Campania ad esempio potrebbe raddoppiare l'attuale posta di 1,1 miliardi messa nel piatto a fine 2018 dai ministeri per accompagnare il Piano ospedaliero. Qui uno dei nodi da sciogliere riguarda la capacità di spesa: l'attuale compagine tecnica che interfaccia Regioni e Ministeri sui progetti di ristrutturazione edilizia finisce a Roma in un imbuto burocratico fatto di due Nuclei di valutazione che impiegano anni per approdare alla fase esecutiva. «Servirebbe una forte struttura di affiancamento tecnico - fanno sapere Palazzo Santa Lucia, sede della giunta regionale della Campania - che svolga un ruolo operativo teso a velocizzare e sostenere realmente le esigue forze operative delle singole Regioni ridotte all'osso dalla stagione dei tagli».
L'altro snodo strategico è un investimento altrettanto massiccio (si parla di 10 miliardi di cui la metà al Sud) nella cosiddetta medicina del territorio che ha funzionato male anche al Nord nei mesi scorsi. Qui si tratta di costruire una serie di strutture di prossimità specializzate ramificate nelle Asl (ambulatori, day hospital, nuclei multidisciplinari che abbiano in uso tecnologie di primo livello) ma soprattutto di assumere personale specializzato, soprattutto infermieristico e tecnico, che curi a casa i malati bisognosi di interventi semplici ma ripetuti nel tempo. C'è poi il tema dell'ammodernamento delle tecnologie che giocano un ruolo cruciale per l'innovazione e l'efficacia delle cure e che ogni dieci anni richiedono un tura-over oggi insostenibile per molte regioni che potrebbe assorbire circa 2 miliardi di euro.
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Sullo sfondo il tema delle cronicità: il Covid-19 ha fatto emergere il grave ritardo nella riforma dei servizi territoriali mostrando la necessità di spostare l'assistenza dei malati cronici dall'ospedale al territorio puntando al massiccio uso della telemedicina e teleassistenza. «Su questo fronte l'emergenza Covid, tutt'altro che conclusa - avverte Fabrizio Starace psichiatra napoletano membro del gruppo di lavoro che ha affiancato il premier Giuseppe Conte durante l'emergenza Covid - ha posto il nostro sistema sanitario di fronte a uno stress test che ne ha messo a nudo le principali fragilità». Fondamentale la prevenzione e i percorsi di diagnosi, cura, riabilitazione e monitoraggio come sottolineato nel corso del webinar su Cronicità e Telemedicina realizzato da Motore Sanità con il contributo indipendente di Daiichi-Sankyo. La spesa a livello Ue per le malattie croniche è pari a circa 700 miliardi di euro l'anno ed in Italia i malati cronici sono 24 milioni, assorbendo una gran parte delle risorse riversate in sanità. Diabete, asma, Bpco sono condizioni di aumentato rischio di mortalità in rapporto al Covid. L'obiettivo è orientare gli in vestimenti alla presa in carico attiva delle persone con fragilità e cronicità tramite servizi di prossimità riequilibrando Nord e Sud. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino