Roma. «Chi dice che il voto in Sicilia è un fatto locale è un idiota». Massimo D'Alema scandisce bene, per due volte, la frase. Parla di Matteo...
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Ma «l'assedio», anticipato dall'invito di Michele Emiliano a Paolo Gentiloni a guidare il centrosinistra, era preventivato al Nazareno. E, sebbene ufficialmente tacciano per non alimentare un dibattito «in politichese», la risposta dei dirigenti vicini al segretario è netta: Renzi ad aprile ha ricevuto l'investitura di oltre un milione di voti alle primarie («ho l'obbligo di riprovarci, dice lo stesso segretario a Castiglione del Lago) e le manovre di palazzo non riusciranno a metterlo in crisi. Non solo perché l'asse tra Renzi e Gentiloni è «saldo» («facciamo lavoro di squadra e sta lavorando bene», dice il segretario), ma anche perché il leader Dem sta enfatizzando «la squadra». Sul gruppo, da Minniti a Boschi, passando per Delrio, farà leva per respingere le manovre di oppositori interni ed esterni. Solo dopo il voto, poi - è la convinzione dei renziani - si aprirà la partita decisiva. Perché se nessun partito, come probabile, otterrà la maggioranza si aprirà la via di un governo di larghe intese. E a quel punto non è scontato, come lui stesso ammette, che Renzi torni a Palazzo Chigi. E potrebbe anche aprirsi la strada per un bis di Gentiloni, verso il quale Berlusconi ha speso parole di stima. Il segretario, nel frattempo, anuncia che annuncia che alle elezioni si candiderà ad Arezzo (dove ieri ha presentato il suo libro) «dato il mio legame con questa terra, i miei parenti stavano qui» e ritorna sulla discussione interna al partito. «Basta divisioni interne - dice - il Pd è l'unico argine al populismo di destra. Il centrodestra è gasato per i sondaggi ed è la metà di noi. Loro però danno idea di compattezza e noi no».
Ma da qui al voto mancano ancora diversi mesi. Molto - ammettono gli stessi renziani - può ancora succedere. E un'area vasta del Pd, che va da Andrea Orlando a Dario Franceschini, non abbandona la speranza che Renzi si convinca ad aprire a uno schema di coalizione che possa portare il centrosinistra a Palazzo Chigi. Il ministro della Cultura, che sarà ospite della festa di Mdp a Napoli, da Ravenna sottolinea che i bersaniani non sono «avversari»: «Stiamo nello stesso campo». E se in Parlamento Orlando ha lanciato l'offensiva per il premio alla coalizione, fuori dal palazzo si prova a tessere la tela con Pisapia che porti a riunificare l'area vasta del centrosinistra. Perciò vengono accolte con qualche disappunto, nella minoranza Dem, le parole di D'Alema. Perché taglia i ponti attaccando con durezza Renzi, denunciando che «l'accordo siciliano con Alfano è un accordo nazionale» e assicurando che, a dispetto del no a Fava di «qualche dirigente da Roma», la sinistra in Sicilia è «unita» e ha il sostegno del locale Campo progressista.
Domani Mdp e Cp si vedranno a Roma per provare a scrivere la road map del nuovo soggetto unitario. Nello stesso giorno suonerà il fischio d'inizio della partita parlamentare di fine legislatura, con la capigruppo del Senato che deciderà il calendario d'Aula. Sul tavolo ci sono temi sensibili come ius soli e biotestamento. E sullo sfondo la legge sui vitalizi, che è ancora in commissione e sconta la contrarietà di un'area Pd, ma che resta in cima all'agenda del Nazareno intenzionato a non lasciare il campo al M5s. L'orientamento dei Dem è dare priorità assoluta al Def e alla legge di bilancio, su cui pende l'incognita di una maggioranza fibrillante (Mdp da mesi avverte che potrebbe non votare la manovra). Tra nota di aggiornamento al Def e manovra potrebbe trovare spazio il voto sui vitalizi. Mentre lo ius soli sembra per ora destinato a slittare.
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Il Mattino