Lega, l'ala anti-M5S si rafforza ma Salvini frena i suoi (per ora)

Lega, l'ala anti-M5S si rafforza ma Salvini frena i suoi (per ora)
Lo scambio Tav-Diciotti, Matteo Salvini lo nega con forza da giorni e anche ieri ha invitato a «curarsi» chi pensa possa essere messa sul mercato «una grande...

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Lo scambio Tav-Diciotti, Matteo Salvini lo nega con forza da giorni e anche ieri ha invitato a «curarsi» chi pensa possa essere messa sul mercato «una grande opera necessaria al Paese e un processo». Se non altro perché la richiesta di processare il ministro dell'Interno, per la vicenda dei migranti della Diciotti, ha fatto schizzare ancora più in alto i consensi della Lega. Mentre un definitivo no alla Tav rischia di produrre l'effetto opposto.

 
Il ministro dell'Interno ne è consapevole e tiene duro sul processo come sulla Tav, ma è l'unico - o quasi - nella Lega che è convinto che alla fine si possa trovare un accordo con l'alleato prima delle elezioni europee di maggio. O che dopo il voto sarà più facile far ripartire i cantieri e metter mano ad una legge di Bilancio fatta di investimenti e non solo di assistenza. Uno scetticismo che pervade da tempo i parlamentari della Lega ma che ha ormai contagiato anche gli esponenti di governo che ieri hanno assistito con una buona dose di invidia al ciaone di Paolo Savona che ha lasciato il ministero per la Consob.

Il partito di Salvini è una pentola a pressione che rischia di esplodere da un momento all'altro. La Liga Veneta chiede ormai apertamente di rompere anche se Salvini invita tutti a trattenersi e a non minacciare crisi qualora il M5S dovesse autorizzare il processo. Mettere in discussione il governo, aprire la crisi, sono frasi che Salvini per ora non pronuncia e non autorizza a dire anche se sale l'irritazione per la posizione «da sfinge», come la definisce un leghista, che continua a tenere il M5S sulla Diciotti. E così nel Carroccio c'è chi si interroga e teme, come ammette un sottosegretario, che «alla fine rischiamo di essere costretti a scegliere tra la Tav e Berlusconi, perchè Mattarella non scioglierà le camere e dovremo fare una manovra di Bilancio con 23 miliardi di clausole e niente flessibilità». Ovvero un ritorno della Lega ad un'alleanza con il centrodestra che Salvini continua a consegnare alla storia ma che rischia di essere l'unica alternativa qualora, in caso di crisi, non si aprisse la strada al voto anticipato. Una nuova maggioranza Lega, FI, FdI e magari qualche pezzo della pattuglia grillina. Anche corposo vista la scarsissima voglia degli eletti M5S di tornare a casa prima della fine della legislatura. Ma Salvini non intende tornare nelle braccia del Cavaliere il quale, candidandosi per le Europee dimostra come non intenda farsi da parte, malgrado il governatore della Liguria Giovanni Toti continui a chiedergli di lasciar perdere e di fare il «federatore».

Ma più che la Diciotti e il Venezuela il problema di Salvini è la Tav. La speranza di trovare un'intesa sulla Torino-Lione si è ancor più ridotta ieri con la consegna, da parte del ministro Toninelli, all'ambasciatore francese dell'analisi costi-benefici. Non aiutano le rassicurazioni che Di Maio e Di Battista hanno dato sull'opera al leader a Christophe Chalencon, esponente dell'ala dura dei gilet gialli che oltre a contestare la Tav ha il merito di aver di recente invitato i francesi «alla guerra civile». Un «non si farà mai» pronunciato da di Maio che taglia i residui ponti sui quali anche il premier Conte pensava di poter costruire una trattativa.

A ridurre le speranze di un possibile rinvio della scelta - magari dopo le elezioni europee - contribuiscono i non brillanti rapporti del governo italiano, soprattutto dei due vicepremier, con la Francia di Emmanuel Macron. Ed infatti a Bruxelles, come raccontava ieri l'eurodeputato azzurro Massimiliano Salini membro della Commissione Trasporti, si cominciano già a fare i conti di quanto l'Italia dovrà restituire (1,8 miliardi) e quanto dovrà pagare alla Francia di indennizzi.


A rendere poco respirabile l'aria nella maggioranza c'è anche il viaggio di Di Maio e Di Battista in Francia. La presa di distanza dei due dall'alleato piace al leader dei gilet gialli, ma oltre risultare poco gradevole per il Carroccio non basta. I due sono ancora in volo quando a sera Chalencon esclude qualsiasi intesa con il M5S che incassano l'ennesimo no dopo quelli dei mesi scorsi. Senza alleati in Europa e senza poter nemmeno sventolare la bandiera dei gilet gialli, la corsa grillina alle elezioni europee si annuncia in salita. L'isolamento in Europa del primo partito di governo non può che riflettersi sull'Italia. Salvini e anche il premier Conte ne avvertono tutti i rischi ma sono preda della geopolitica grillina che l'arrivo di Di Battista ha reso una sorta di maionese impazzita. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino