«Io non mi pento... a me non mi piegheranno. Io non voglio chiedere niente a nessuno... mi posso fare anche 3000 anni, no 30 anni». Nessun segno di pentimento, nessun...
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Intercettato durante un colloquio con la moglie Ninetta Bagarella, nell'ospedale di Parma dove per le cattive condizioni di salute è detenuto al 41 bis, non ha alcuna intenzione di chiedere sconti allo Stato. Per lui, però, lo fa il suo legale che, a giugno, ha intravisto uno spiraglio nella sentenza della Cassazione che ha annullato il provvedimento del tribunale di Sorveglianza di Bologna che aveva rigettato la richiesta di differimento pena per motivi di salute. Per la Suprema Corte, che ha affermato il diritto di ognuno a una morte dignitosa, i giudici di primo grado avrebbero omesso «di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico». Nella sentenza, la Cassazione invitava i colleghi del tribunale ad accertare «se lo stato di detenzione carceraria di Riina comporti una sofferenza ed un'afflizione di tale intensità» da andare oltre la «legittima esecuzione di una pena». Chiamato a pronunciarsi nuovamente sul caso, il tribunale di sorveglianza non ha mostrato dubbi. Riina resta in stato di detenzione. E al 41 bis. Nessun differimento di pena è ipotizzabile. Nessuna detenzione domiciliare è possibile. Una chiusura totale alle richieste dei legali, che accoglie in pieno la tesi del procuratore generale di Bologna Ignazio de Francisci, magistrato che per anni, a Palermo, ha indagato sul capomafia e su Cosa nostra.
«Non potrebbe ricevere cure e assistenza migliori in altro reparto ospedaliero e certamente nel luogo in cui ha chiesto di fruire della detenzione domiciliare», scrivono i magistrati, per i quali è «palese» che al detenuto viene assicurata «un'assoluta tutela del diritto alla salute sia fisica che psichica». In effetti le intercettazioni mostrano un Riina più che lucido. E in questo senso vanno anche le indagini: è di ieri il sequestro di beni per oltre un milione di euro di fatto nella disponibilità del padrino che, nonostante il carcere duro e i 28 ergastoli da scontare, evidentemente continua a poter contare su un sostanzioso tesoretto.
I giudici in più passaggi, poi, assicurano che il capomafia di Corleone «nel reparto detentivo ospedaliero ossia in stanza dotata di tutti i presidi medici e assistenziali necessari alla cura di una persona anziana viene assistito giornalmente da un fisioterapista» e «dispone quotidianamente, senza necessità di spostamento alcuno, di un importante intervento assistenziale espressamente finalizzato al mantenimento della residua funzionalità muscolare».
Insomma in nessun altro posto sarebbe assistito con maggiore cura. Rispondendo, poi, ai dubbi della Cassazione, il collegio bolognese precisa che «la complessiva situazione di Riina non costituisce neppure una prova di intensità superiore all'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione». «Faremo ricorso», annuncia l'avvocato, che non si rassegna.
la.si.
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Il Mattino