Rivolte e pestaggi in carcere, il governo vara la task force

Non fu un intervento «di reazione», ma una rappresaglia «a sangue freddo». Lo scrive il gip che il 28 giugno ha emesso 52 misure cautelari per i pestaggi...

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Non fu un intervento «di reazione», ma una rappresaglia «a sangue freddo». Lo scrive il gip che il 28 giugno ha emesso 52 misure cautelari per i pestaggi del 6 aprile del 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, e lo sottoscrive il ministro Cartabia che ieri, alla Camera, ha riferito in merito alle violenze che si sono consumate nel reparto Nilo della casa circondariale casertana e che hanno portato, tra le altre cose, alla interdizione per il capo del Dap Campania, Antonio Fullone. «Stando alle indagini risulta che non fosse una reazione dovuta a una situazione di rivolta, ma una violenza a freddo». È il succo della lunga informativa del guardasigilli. «Sono stati fatti gravi» che hanno visto un «uso insensato e smisurato della forza e leso la dignità della persona». La situazione di sovraffollamento nelle carceri, con un tasso di occupazione delle celle del 114%, «sta peggiorando», ha aggiunto il ministro. Che però non si è soffermata ai fatti di Santa Maria Capua Vetere, ma ha ampliato il discorso a quanto accaduto nelle carceri italiane durante il lockdown del 2020. Accadimenti che, secondo il ministro, «reclamano un'indagine ampia, perché si sappia cosa è successo negli istituti quando la pandemia ha esasperato tutto». E Cartabia ha quindi annunciato di avere «costituito al Dap una commissione ispettiva che visiterà tutte le carceri interessate dalle proteste».

Il giorno in cui l'Italia piombava nel primo lockdown, le voci dei detenuti si levavano dalle carceri di tutta Italia con conseguenze, in certi casi, drammatiche. Tra l'8 marzo e il 6 aprile del 2020 insorsero i detenuti di mezzo Stivale. Diverse le richieste: mascherine, tamponi, l'indulto, la ripresa dei colloqui via web, sospesi in carceri come Santa Maria Capua Vetere proprio per coprire i pestaggi. I fatti più gravi si verificarono a Modena dove, durante la rivolta dell'8 marzo, nove detenuti morirono dopo avere assaltato le farmacie e avere assunto farmaci di varia natura. Altri quattro spirarono dopo il trasferimento in altri istituti. Nelle stesse ore, insorgevano i carcerati di Foggia: alcuni detenuti sono saliti sul tetto, altri ruppero le finestre e all'ingresso della casa circondariale fu appiccato un incendio. Negli scontri con le forze dell'ordine, un detenuto rimase ferito alla testa. Le guardie persero il controllo del penitenziario, quarantun detenuti evasero e furono successivamente riacciuffati. 

Lo spettro del virus in un ambiente chiuso e promiscuo come il carcere, il panico per i primi contagi in cella e la frustrazione per il completo isolamento che si viveva in quelle settimane, frutto dello stop ai colloqui con i familiari, ebbero ripercussioni gravi anche a Rieti dove, il 10 marzo, tre carcerati morirono per avere assunto dei medicinali durante i disordini. Un detenuto scrisse, nell'agosto successivo, una lettera in cui ripercorreva le drammatiche fasi degli scontri: «Trascinavano i tre cadaveri nei sacchi, come immondizia. Ci hanno lasciato morire. Io provavo a gridare, a chiedere aiuto. Ma fu inutile. I miei compagni furono portati via senza denti o svenuti per le percosse». Dopo che il testo iniziò a circolare, intervenne anche il provveditore Cantone: «Chi sa denunci», disse. 

Sempre il 9 marzo, nel carcere bolognese della Dozza, ventidue persone rimasero ferite in seguito ai disordini: al grido di «libertà» volarono sgabelli e gambe di tavoli contro la penitenziaria: per quei fatti, il 14 aprile scorso, la Procura di Bologna ha chiesto il rinvio a giudizio per 41 persone. La vigilia del lockdown scatenò il caos anche al Pagliarelli di Palermo dove i detenuti sottrassero le chiavi dei reparti ai poliziotti e li aggredirono con mazze e bastoni. A Melfi, invece, quattro guardie e cinque sanitari furono presi in ostaggio dai carcerati. Tra il 9 marzo e il 6 aprile, a cadenza quasi quotidiana e non appena si diffondeva la voce di nuovi casi di contagi in cella o tra gli agenti della penitenziaria, si registrarono battiture e barricamenti a Poggioreale, Secondigliano, a Santa Maria Maggiore a Venezia, ad Aversa e Trieste. A San Vittore i detenuti salirono sui tetti, lo stesso avvenne a Barcellona Pozzo di Gotto. A Siracusa fu distrutto l'impianto di videosorveglianza. L'ultima rivolta, in ordine di tempo, fu quella del reparto Nilo di Santa Maria Capua Vetere. Cento detenuti si barricarono nelle sezioni dopo che si seppe di un ospite dell'alta sicurezza positivo al covid e trasferito al Cotugno di Napoli. La polizia penitenziaria scelse di non riprendere il controllo del reparto con la forza, avviando una estenuante ma alla fine prolifera mediazione. Ma il giorno dopo, oltre 200 agenti entrarono nel reparto con manganelli e caschi. I pestaggi a sangue freddo che il gip ha riconosciuto come torture, e gli arresti che ne sono conseguiti hanno alzato il velo sui disastri del sistema penitenziario italiano. E la stagione delle proteste sarà oggetto di un'indagine ministeriale. 

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Il Mattino