Atac, la capostazione in malattia: «Mi dimetto, meglio le Canarie»

Atac, la capostazione in malattia: «Mi dimetto, meglio le Canarie»
Adiós Atac. Meglio la vita alle Canarie che i turni da capostazione sulle banchine scalcinate della metro. Alla fine T.G. si è dimessa. Certo, per un anno e mezzo ha...

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Adiós Atac. Meglio la vita alle Canarie che i turni da capostazione sulle banchine scalcinate della metro. Alla fine T.G. si è dimessa. Certo, per un anno e mezzo ha continuato a incassare l’assegno della partecipata del Campidoglio, mentre nell’arcipelago subtropicale metteva su la sua nuova attività, un bed & breakfast con jacuzzi, petali di rosa sugli asciugamani e terrazza vista Oceano. Probabilmente avrebbe continuato così, col doppio guadagno, se la municipalizzata non l’avesse messa alle strette. Avviando una procedura disciplinare, incrociando i dati con l’Inps sui certificati medici (con qualche anomalia), e sospendendola dallo stipendio. Nel palazzone di via Prenestina erano pronti al passo successivo: la «destituzione», cioè il licenziamento. Ma la capostazione, ormai ex, ha giocato d’anticipo: qualche giorno fa ha spedito una lettera per comunicare all’azienda la rinuncia al posto fisso. E tanti saluti. Forse. Nel senso che potrebbe sempre fare causa. Magari appigliandosi a qualche cavillo. 

Non sarebbe la prima volta. Il Tribunale del lavoro ha sfornato in passato sentenze sorprendenti: per esempio con l’autista-Califfo, un altro dipendente dell’Atac abituato a mettersi in malattia per andare a cantare nelle balere “Tutto il resto è noia”, col baffo da Franco Califfano. Il giudice l’ha reintegrato e Atac ha dovuto riassumerlo. Ma tempo un paio d’anni è stato licenziato di nuovo: gli investigatori dell’azienda l’hanno beccato a rubare gli incassi dei parcheggi delle strisce blu. Altro licenziamento. Chissà stavolta come finirà. 

T. G. per ora lascia. Potrà dedicarsi a tempo pieno alla sua nuova vita a Puerto Rico de Gran Canaria, dov’era approdata a febbraio del 2020, un attimo prima della pandemia. Incredibile ma vero, tempo una settimana di permanenza sull’isola, ed è scattata la malattia. Che si è protratta per 18 mesi. Tutta colpa di una frattura, ha raccontato la capostazione. «Mi sono rotta la gamba qui, pensi, appena arrivata sull’isola, all’inizio del 2020. Una casualità. Sono scivolata dalle scale durante alcuni lavori». Insomma, è rimasta in malattia per un anno e mezzo, per una frattura. «Che devo fare, purtroppo... Adesso sto facendo la fisioterapia. Con la pandemia qui si era bloccato tutto, non ho potuto iniziare prima. Ho anche la spalla storta! Ho il gesso». Anche se nella foto su Whatsapp si mostra in piedi, senza tutore, a spasso sul porto. Niente gesso. «Ma è una foto vecchia, di qualche anno fa», la replica.

Di sicuro la frattura non le ha impedito di trasformare la casa alle Canarie (di proprietà) in un B&B. Reclamizzato anche sul suo profilo Facebook, a ciclo continuo: foto della piscina a sfioro, dei brindisi fronte spiaggia, dei motoscafi all’orizzonte. Con didascalie impossibili da non invidiare: «Voglia di mare, di sole e relax? What else? Che altro? Contattaci per informazioni», scriveva sul social, allegando il link della residenza per turisti. Certo col Covid gli incassi non sono andati a gonfie vele: «Ho una casa vacanze, registrata con tutti i permessi – ci spiegava - ma con la pandemia non è facile affittare. Non affitto più». Anche se l’ultimo post della struttura su Instagram risale al 2 agosto. Ma coraggio: ora avrà tutto il tempo (e le energie) per rilanciare il B&B. Senza lo stipendio pagato dai contribuenti romani.

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Il Mattino