Non solo i metalmeccanici. Anche i benzinai minacciano la serrata. Ma dopo una lunga mediazione ci ripensano. La protesta era nata perché i guadagni sono crollati...
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In effetti dopo un'intera giornata di mediazione i benzinai hanno deciso di non incrociare più le braccia. Come aiuto economico i concessionari delle piazzole autostradali hanno consentito di posticipare l'affitto delle aree di benzina. In cambio i benzinai lasceranno aperti i rifornimenti alternando gli orari. In ogni caso sarà sempre possibile il self service.
Altro messaggio inviato da Conte è a Cgil, Cisl e Uil, impegnati per tutta la giornata di ieri in un lungo vertice con i ministri Patuanelli (Sviluppo Economico) e Gualtieri (Economia) per sfoltire l'elenco delle aziende che possono ancora restare aperte, considerato troppo ampio: «I sindacati sanno che le porte di Palazzo Chigi sono aperte. Io di fatto lavoro con loro. E constato un grande senso di responsabilità» dice Conte.
È una situazione quasi surreale, quella dei sindacati che fanno pressing per una ampia serrata. Lo premette, all'avio del confronto, la leader Cisl, Annamaria Furlan: «Faccio la sindacalista da quasi 40 anni e non ho mai chiesto di chiudere una fabbrica. Anzi, mi sono sempre battuta perché le fabbriche restino aperte. Ma qua c'è di mezzo la vita delle persone». La pensa così anche il numero uno Uil, Carmelo Barbagallo: «Tutti vogliono stiracchiare il codice Ateco, noi vogliamo il codice del buon senso. Prima viene la salute, poi i problemi economici. Salvaguardiamo i lavoratori, i pensionati e i cittadini e facciamo riprendere l'economia al momento opportuno».
Il fatto è che molte aziende, pur di evitare il lockdown, stanno trovando degli escamotage. Lo denuncia il segretario generale Cgil, Maurizio Landini: «Alcune imprese stanno cambiando il loro codice Ateco per poter continuare a produrre. Non è possibile giustificarle. Aver introdotto nel decreto la deroga a livello territoriale per le aziende la cui attività è agganciata a quelle consentite, previa informazione e decisione prefettizia, ha scatenato una malsana rincorsa». La Prefettura di Milano conferma: sono «numerose» le comunicazione già arrivate. Saranno «tutte esaminate e vagliate» con attenzione, anche con sopralluoghi della Guardia di Finanza, si avverte.
Per i sindacati molti call center non hanno ragione di restare aperti, e così le industrie della gomma, dei macchinari agricoli, o anche alcune attività manutentive. In ogni caso ribadiscono è necessario che anche nelle aziende che fanno produzioni e attività essenziali siano garantire tutte le misure di sicurezza, dalle mascherine alle distanze tra un lavoratore e l'altro. Cosa che ancora adesso non accade dappertutto. In tarda serata, a vertice ancora in corso, non era esclusa la possibilità di regolare la chiusura delle attività non essenziali su base territoriale, stringendo di più le maglie nelle province più colpite dall'epidemia e dunque con maggior rischio di contagi.
Trovare un giusto punto di equilibrio, però, non è semplice. Ieri governo e sindacati hanno guardato ogni singolo codice, ma in nottata c'era ancora un braccio di ferro. All'apparenza alcune produzioni potrebbero essere considerate non necessarie ma poi nella pratica sono quelle che riforniscono di materie prime o semilavorati le fabbriche che fanno prodotti indispensabili. Non bisogna sbagliare. È lo stesso premier a ricordarlo: «Le filiere produttive sono molto integrate, pensiamo al cibo venduto nelle vaschette di polistirolo, imballato con il cellophane e con su l'etichetta». A spingere affinché si arrivi ad un accordo in tempo utile è anche il Pd. Il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, è chiarissimo: «Non è questo il tempo della divisione, ma della coesione nazionale. Va assolutamente trovata un'intesa».
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Il Mattino