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Il 7 gennaio si torna a scuola, tutti, ragazzi delle superiori compresi. Ed è proprio sul ritorno in classe al 75% per gli studenti delle superiori che si gioca la partita: assicurare la ripresa delle lezioni tra i banchi, lasciando alla didattica online solo il 25%, è l’obiettivo del governo. La ministra all’Istruzione, Lucia Azzolina, assicura che l’esecutivo è compatto: per quella data non ci saranno scuse. Sempre che non sia la curva dei contagi a fare brutte sorprese dopo le festività natalizie.
Il giorno tanto atteso, il 7 gennaio, è un giovedì: e cade proprio all’indomani della fine del lockdown che è stata fissata al 6 gennaio.
Quindi si rientrerà per due giorni in classe, il 7 e l’8 gennaio, con il rischio che molti docenti non saranno in classe, soprattutto nelle scuole del Nord, perché sono tornati a casa per festeggiare e lì resteranno in zona rossa. I problemi ci saranno, ma la data non si tocca: «Non fa niente che il 7 sia un giovedì – ha spiegato la Azzolina, ieri, ai microfoni di “In mezz’ora” – non possiamo perdere nemmeno un’altra ora. Se lasciamo i nostri studenti a fare solo didattica a distanza è il Paese che un giorno perderà competenze. La scuola è anche motore di sviluppo economico del Paese. Non si può dire a un negozio: è giovedì, resta chiuso. Perché perderebbe l’incasso: ecco, anche la scuola ha il suo incasso».
Oggi o domani, al massimo, dovrebbe arrivare l’ufficialità sul piano per la riapertura di gennaio: si punta al potenziamento dei trasporti pubblici, per evitare assembramenti sui bus o nelle metropolitane ma anche sui treni per i ragazzi che si spostano da un paese all’altro, allo scaglionamento degli orari di ingresso a scuola per aiutare i trasporti alleggerendone il carico e al tracciamento dei contagi negli istituti, con delle corsie preferenziali per monitorare e fare screening su docenti e studenti.
Sulla stessa linea anche le Regioni che chiedono di rivedere la soglia di presenza: Veneto e Campania chiedono di abbassare la soglia al 50% e, prima di loro, qualche dubbio era stato avanzato anche da Piemonte e Lombardia. Non meno importante la questione degli orari: la linea generale dovrebbe prevedere orari diversi, nell’arco di due ore, in entrata e quindi anche in uscita. Se la prima classe entra alle 8, l’ultima entrerà alle 10. «È una richiesta irreale – sottolinea l’Udir, in difesa dei dirigenti scolastici – e impossibile per diversi motivi, a cominciare dalla complessità nell’organizzare gli orari per i docenti che insegnano su più classi». Che cosa accadrebbe a quelle classi che entrano alle 10 e devono stare a lezione per 6 ore? Innanzitutto resterebbero a digiuno perché nelle scuole superiori non ci sono i locali della mensa. Senza contare che uscire alle 16 significherebbe veder dimezzato il pomeriggio, senza tempo per studiare.
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