Spese militari, M5S diviso: Di Maio e i fedelissimi in trincea ma Fico si schiera con il leader

Spese militari, M5S diviso: Di Maio e i fedelissimi in trincea ma Fico si schiera con il leader
Un gruppetto di deputati accerchia il vice presidente del Movimento, fresco di riconferma, Michele Gubitosa. C'è Sergio Battelli, con lui anche Simone Valente, Gianluca...

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Un gruppetto di deputati accerchia il vice presidente del Movimento, fresco di riconferma, Michele Gubitosa. C'è Sergio Battelli, con lui anche Simone Valente, Gianluca Vacca e Alfonso Bonafede, che però ascolta senza intervenire. «State scaricando la colpa sul ministro Guerini, non è questo il metodo per tirarsi indietro, questa è mera propaganda», ammoniscono e tocca a Gubitosa tranquillizzarli: «Ma perché non possiamo dire 2030 per l'aumento della spesa militare? Cosa non capite?». A replicare è Sergio Battelli: «Non ho fatto nessuna dichiarazione pubblica in questi giorni, ma non potete però impedire di chiedere almeno un chiarimento interno, serve il dibattito!».

La tensione è alta nel Movimento e discussioni simili si susseguono da giorni. Sono per lo più i dimaiani ad animarle nonostante, per scelta, abbiano deciso di non esacerbare gli animi con dichiarazioni in contrasto con la leadership appena riconfermata di Giuseppe Conte. D'altra parte il ministro degli Esteri è esposto in prima persona ed è saldamente allineato al premier Draghi. 

«Gli unici a contestare apertamente l'ennesima giravolta politica di Conte sono i dimaiani racconta una fonte interna al Movimento gli altri, seppur non la condividono, hanno troppo da perdere». Secondo fonti qualificate, infatti, gli uomini di Di Maio sarebbero gli unici ad aver capito pienamente che la strategia di Conte mira alla crisi di governo e al ritorno alle urne per consentire anche il rientro nel Movimento di Alessandro Di Battista, utile a riportare un po' dei voti persi al bacino elettorale dell'ex premier.

A temere di perdere tutto, invece, sarebbero principalmente i deputati alla prima legislatura: «Seguono ormai Conte come unica speranza di essere rieletti, ha promesso loro di essere ricandidati, ad alcuni di essere capolista. Sono promesse che non potrà mantenere però lo seguono sulla questione delle armi», spiega un deputato di lungo corso, un tempo contiano. E poi c'è chi pubblicamente segue la linea del leader, ma tra gli scranni dell'aula commenta: «Conte fa il sondaggista, così si fa fatica a farlo continuare». 

Si diradano le posizioni anticontiane, ma non i mal di pancia: un po' per timore, un po' per mancanza di alternativa. È il caso dei fichiani come il ministro Federico D'Incà e i deputati Gilda Sportiello e Riccardo Ricciardi, divenuti un tutt'uno con il leader. Lo stesso Roberto Fico, a detta di molti deputati del Movimento, sarebbe ad oggi una delle persone più vicine all'avvocato, che vede in lui l'anti Di Maio per eccellenza a Napoli.

«Il Partito Democratico ci lascerà se andiamo avanti di questo passo», spiega un altro deputato di lungo corso che non vede di buon occhio la posizione di Conte sulla questione della spesa militare. Perché il timore è anche che senza quella coalizione creata all'interno del campo progressista i 5 stelle possano andare incontro ad un flop elettorale. Tanto che alcuni già mormorano: «Se Conte sulle armi ha la stessa posizione di Di Battista non è un caso e significa che ci stiamo allontanando dai dem». 

Ma la critica più diffusa rivolta al leader resta quella del metodo: «Gli uomini di Conte parlano di nuovo corso, dovevano esserci toni moderati e invece accade l'opposto e minacciamo una crisi che vuole soltanto Conte per la sua resa dei conti», spiega una fonte di primo piano.

Eppure il gruppo dei contiani, ad oggi si allarga e abbraccia tanto deputati eletti alla prima legislatura quanto alla seconda, come Leonardo Donno o Francesco Berti, o anche il suo uomo fidatissimo Francesco Silvestri. E poi Paola Taverna, Andrea Cioffi, Gianluca Castaldi, Angela Salafia e Vittoria Baldino. Eppure la resistenza a Giuseppe Conte e alla sua posizione sulle armi prosegue, anche in Senato, dove sono numerosi i dissidenti nei confronti del leader. C'è chi lo esprime con moderazione, come il senatore Primo Di Nicola, o chi resta in silenzio e non commenta. Ma il rischio che la torsione anti-spesa militare costi cara a Giuseppe Conte c'è. A presentargli il conto potrebbe essere il suo stesso gruppo parlamentare. 

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Il Mattino