«La scelta del luogo è un primo, importante elemento che dimostra la premeditazione del delitto, così come l'utilizzo delle manette che il reo aveva...
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Intanto, emergono altri dettagli sui giovani stupratori. «Mi hanno insegnato a portare rispetto a chi mi rispetta»: è una delle frasi estrapolate dai profili social. «Odio tutti» e tante foto come quelle di qualsiasi ragazzo della sua età: selfie con espressioni buffe, scatti "da duro" allo specchio e video dei pomeriggi con gli amici in giro per Roma, nei dintorni del campo nomadi di via di Salone dove abitava insieme all'amico che secondo gli inquirenti ha fatto da «palo» durante la violenza. Su Instagram la voglia di riscatto, forse la sofferenza per un amore finito. «Avevi detto per sempre», scrive Seferovic, riferendosi pare a una storia finita male: «Ci siamo conosciuti, tenuti, per poi finire sconosciuti».
La ricostruzione dell'accaduto è scioccante. Legate a una ringhiera con le manette, portate in un luogo isolato e stuprate nell'estrema periferia Est di Roma. Una delle due ragazze si era innamorata di Mario conosciuto su Facebook: avevano chattato per diverso tempo, lei aveva conquistato la sua fiducia, tanto che la ragazza aveva accettato un incontro. La giovane aveva capito che Mario era un rom, ma non le importava, voleva parlarci, vederlo. Un incontro che si è trasformato in un incubo, in una serata di violenza folle.
A maggio la ragazza era andata all'appuntamento con la sua amica: e anche Mario si era presentato con il complice Maicon Bilomane Halilovic. Entrambi i nomadi vivono in via di Salone, il campo che ospita 600-800 persone, un tempo «villaggio della solidarietà», da anni definito addirittura dalle forze dell'ordine «terra di nessuno». Poi le minacce, le grida, la paura, l'orrore si consuma nella desolazione più assoluta.
Dopo lo stupro le due ragazze vengono liberate.
Il Mattino