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Aveva “marchiato” la compagna, con cui conviveva da poco tempo, costringendola a tatuarsi il suo nome sul viso, forse per sottolineare che era di “sua proprietà”. E la quotidianità, tra le mura di casa, era dominata da violenza e torture: minacce di morte rivolte a lei e alla sua famiglia, lettura obbligata di testi sacri cattolici e colpi di mannaia. L’11 maggio scorso la Cassazione ha confermato la sentenza a 6 anni e mesi di reclusione per Andrea Lombardi, 41enne romano, per aveva fatto vivere la sua compagna in «penosissime condizioni di vita».
Le accuse a suo carico sono: maltrattamenti in famiglia, lesioni personali aggravate e la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, reato introdotto proprio nel 2019. I fatti, infatti, si sono consumati dal 3 al 10 dicembre di quell’anno. La coppia si era conosciuta in chat, su Facebook. Sorpresi dal colpo di fulmine, avevano subito preso la decisione di andare a convivere in un appartamento. Ma la convivenza, che soprattutto ne i primi tempi dovrebbe essere all’insegna dell’amore e della serenità, già dopo pochi giorni si era trasformata in un incubo: lettura forzata della Bibbia o del Vangelo e uscite limitate. Per i pm l’uomo aveva «maltrattato la compagna aggredendola quotidianamente, sia verbalmente sia fisicamente».
Le vessazioni iniziano il 3 dicembre del 2019, quando l’imputato porta la compagna in uno studio di tatuaggi e la obbliga a farsi tatuare il viso.
Persino davanti ai carabinieri, arrivati sul posto, continua a minacciarla: «Se mi arrestano uccido la tua famiglia con una pistola e te con un’arma bianca». Appena ventiquattro ore dopo, il 10 dicembre, sempre secondo le ricostruzioni fatte dai magistrati, la riporta con la forza in un altro studio di tatuaggi e le fa disegnare una linea verticale al centro del mento e una linea orizzontale al lato destro della bocca, una risata sul tattoo fatto una decina di giorni prima «Odio tutti» e la scritta «Ti amo» sul suo nome. Tutto questo ha provocato alla donna uno «sfregio permanente al viso».
Il difensore dell’imputato, l’avvocato Vito Alberto Calabrese, ha commentato così la sentenza: «Aspetterò le motivazioni e poi faremo ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo perché la persona offesa è stata sentita senza dare una minima comunicazione al difensore dell’imputato». Il 41enne, ora, sta scontando la pena nel carcere di Frosinone.
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