Roveredo, Aurelia uccisa dal compagno, la mamma difende il figlio: «Lei sempre al telefono, veniva trattato come un cane»

Omicidio di Roveredo, la mamma di Giuseppe Forciniti: «Mio figlio mi diceva di essere trattato come un cane»
Mille chilometri con il cuore il gola, ma un unico pensiero: i nipotini. Giovanna Ferrante e Antonio Forciniti - genitori di Giuseppe, l’infermiere di Roveredo in carcere...

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Mille chilometri con il cuore il gola, ma un unico pensiero: i nipotini. Giovanna Ferrante e Antonio Forciniti - genitori di Giuseppe, l’infermiere di Roveredo in carcere per aver accoltellato a morte la compagna Aurelia Laurenti - sono in Friuli, ospiti dei consuoceri. È mamma Giovanna, 52 anni, che nella vita si dedica ai bambini diversamente abili, a lasciare una testimonianza su Giuseppe e il suo travagliato rapporto sentimentale. 

Giovanna, come è suo figlio?
«A Rossano e a Pordenone non troverà nessuno che dirà qualcosa di male di Giuseppe. È una persona meravigliosa, intelligente. Lavorava come odontotecnico a Sacile, ma voleva più tempo per dedicarsi alla famiglia e con tanti sacrifici nel 2012 si è laureato, il primo figlio aveva pochi mesi. Per provvedere al bambino faceva i turni di notte e mandava i soldi ai genitori di Aurelia».

Come erano le giornate di Aurelia?
«Stava dalla mattina alla sera al telefonino. Era la sua pazzia. Una volta mi ha chiamato, Giuseppe era andato in ospedale a vedere i turni, era l’ora di pranzo. Aisse che non poteva cucinare. Aurelia - dissi - non dirmi bugie, il frigorifero è pieno. Se devi prendere il pane, non aspettare Giuseppe, carica i bambini in macchina e vai... Giuseppe doveva fare quello che voleva lei». 

Giuseppe si ribellava?
«No, per il bene dei bambini. Non voleva che fossero affidati ai nonni. Sono persone buonissime, ma non davano regole».

Chi si prenderà cura di loro adesso?
«Io posso lasciare il mio lavoro occasionale. In Calabria abbiamo una casa in montagna e una a pochi passi dal mare. Mio marito lavora, la casa è mia, sono diplomata, posso seguirli fino alle scuole superiori. Mi dedicherò esclusivamente a lavoro». Durante la telefonata in vivavoce l’avvocato Ernesto De Toni le riferisce che in carcere Giuseppe gli ha appena detto «cosa ci faccio qui? Io ho sempre aiutato la gente, ero nel reparto Covid a salvare la gente». E le chiede: è questo Giuseppe? «È molto di più - risponde la mamma - Non so che cosa lo ha spinto ad agire così. Ultimamente mi diceva che era trattato come un cane, ma io non ho dato peso». 

Aurelia e Giuseppe si picchiavano?
«Ho visto Aurelia con un occhio nero. Disse che gliel’aveva fatto Giuseppe. Non le dico come l’ho trattato quando ho saputo. Lui disse “mamma non le ho mai messo un dito addosso”. Giurava, non gli ho creduto. Siccome sono una donna, ho creduto ad Aurelia. Il giorno dopo si alza la maglietta e noto un livido enorme in pancia. Sono caduto, disse. Chiesi ad Aurelia e lei disse di averlo colpito con il mattarello. Ho continuato a indagare. Ho chiamato la madre, che si lamentò del fatto che Aurelia stava tutto il giorno al telefonino. Non fa niente, dissi, basta che tratti bene i bambini. Non contenta, ho chiamato anche la zia. Lei mi disse che Aurelia, anche da piccola, si procurava i lividi sbattendo la testa contro il muro finché non otteneva ciò che voleva».

Che rapporto ha con i consuoceri?
«Mi hanno trattato benissimo. E io ho sempre trattato bene Aurelia, davo sempre ragione a lei, invece la situazione alla fine mi si è rivoltata addosso». 

I bambini hanno intuito qualcosa?


«Credo di sì. Il maggiore ha visto il telegiornale e gli è venuto in mente quello che ha fatto il papà». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino