Ucraina, Russia e 9 maggio: il discorso di Putin e la reazione (feroce) della stampa Usa

Ucraina, Russia e 9 maggio: il discorso di Putin e la reazione (feroce) della stampa Usa
Putin difende la sua guerra, la stampa americana invece attacca. Il fatidico 9 maggio è arrivato e con lui...

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Putin difende la sua guerra, la stampa americana invece attacca.


Il fatidico 9 maggio è arrivato e con lui l’attesissimo discorso dello “zar”.

L’occasione è nota: la Festa della Vittoria sul nazismo tedesco.

E il copione della narrazione di Mosca è sempre lo stesso: espansione e relativa condanna della Nato, ossessione «patria» e «difesa dei confini», «intervento preventivo» dunque «necessario». 

Dall’altro lato dell’Oceano, però, gli Stati Uniti non ci stanno. E giornali e televisioni e siti sono quasi letteralmente in fiamme. I titoli si sprecano, non tanto sulla solita propaganda, quanto paradossalmente su ciò che non è stato detto

Attorno allo sfoggio politico-militare di Putin, infatti, ci si aspettava e in qualche modo si temeva un’autentica svolta. Una evoluzione involuzione della guerra, che viceversa non si materializza. Perlomeno non ancora.

Nessun riferimento a nessun cambio di strategia né alla durata della guerra stessa.
Nessuna escalation, insomma. Ma neppure nessuna illusione. 

Perché c’è un denominatore comune in tutte le analisi a stelle e strisce: l’orgoglio di Putin.
La sua fierezza quasi cieca, di certo accecata. Una personalità disposta a tutto, tranne che alla sconfitta. Che a parole vuole sì «evitare la guerra globale», ma che nei fatti no, dalla sua prospettiva, non vede le cose andare per il verso giusto.

E allora, altro che lasciare: il presidente russo potrebbe cadere nella trappola di voler raddoppiare, trascinandoci dentro il resto del mondo.

Rilanciare, “magari” con una nuova mossa a sorpresa, pari se non addirittura peggiore di quella dell’invasione del Donbass.

Raddoppiare e rilanciare che fanno rima, terrificante, con nucleare.

È questa la paura che aleggia tra le colonne e gli schermi del giornalismo americano.

In un “blame game”, ovvero in uno scaricabarile di colpe e responsabilità, in cui, nella ferocia di certi “strilli” e di certe analisi, non resta che augurarsi una cosa sola: che i titoli e soprattutto i timori della stampa Usa, oggi, siano tutti sbagliati.

Il contrario significherebbe un dramma che nessuno di noi vuole raccontare. 

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Il Mattino