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Nessuno osa fare un’ulteriore prima mossa. Perlomeno non ancora.
Sul fronte della guerra in Ucraina, Stati Uniti e Germania si tengono sotto scacco a vicenda, in una situazione diplomatico-militare di autentico stallo: Berlino non invierà i suoi carri armati Leopard, a meno che Washington non invii i suoi carri armati M1 Abrams. E viceversa.
Armi di ultimissima generazione che certamente favorirebbero Kiev contro Mosca, ma che altrettanto certamente rischierebbero di inasprire i toni di un conflitto già spaventoso.
Sono ore di fuoco e gli alleati Nato sono chiamati a una decisione, a metà tra terribile e coraggiosa.
La Casa Bianca prova a tergiversare e ne fa una questione di costi. Perché altissimi sarebbero, a detta della portavoce di Joe Biden, i costi di logistica e di manutenzione di mezzi così pesanti. Questo peraltro a margine di un nuovo pacchetto sicurezza, appena approvato proprio dagli americani, che da solo vale due miliardi e mezzo di dollari. La sensazione non detta che aleggia è che, almeno per il momento, e nonostante il fastidio puntualmente espresso da Zelensky, gli Stryker e le altre armi difensive siano assai più che sufficienti.
Ma il cancelliere tedesco Olaf Scholz, per quanto attento alle relazioni con la Nato e con l’Unione Europea, appare ancora più attento alle relazioni con il suo popolo e più in generale con gli interessi della sua Germania.
Appuntamento alla base aerea di Ramstein per decidere se fare, oppure no, un’ulteriore prima mossa.
Se varcare, oppure no, un’ulteriore linea rossissima.
Il Mattino