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Ieri altri 390 morti. E viene da deprimersi pensando che un mese fa, il 22 marzo, i decessi erano stati 386, gli stessi, come se a nulla fossero servite 8 milioni di vaccinazioni effettuate nell’ultimo mese, portando il totale a 16 milioni. Ma i numeri vanno letti tutti e quelli sui vaccini sono meno ballerini di altri, solo che impiegano del tempo per produrre effetti. Ma ormai ci siamo: un primo calo della curva dei morti misurata come media mobile settimanale è in corso dal picco del 13 aprile. Già dalla prossima settimana scenderemo sotto i 300 morti quotidiani, sempre come media su sette giorni, cioè utilizzando una tecnica statistica che permette di annullare gli effetti dei valori ballerini per il fine settimana. L’obiettivo psicologico di arrivare a meno di cento morti al giorno non è lontano: le curve indicano come data obiettivo il 20 maggio. In pratica tra un mese i decessi saranno un quarto del livello attuale. Non vorrà dire che la pandemia è alle spalle, ma sarà il segno che l’evento fatale inizia a diventare raro.
Come nasce tale stima? Il primo fenomeno da comprendere è il tempo che passa tra una vaccinazione e la riduzione dei morti. Conviene procedere a ritroso sapendo che, ce lo dice l’Istituto superiore sanità sulla base dell’analisi delle cartelle cliniche, si muore in media appena tredici giorni dopo la comparsa dei sintomi. I sintomi, a loro volta, si manifestano sei giorni dopo il contagio. Per evitare il contagio, occorre vaccinarsi ma dal giorno dell’inoculazione alla comparsa degli anticorpi trascorrono almeno nove giorni. Sommando tredici più sei più nove si arriva a 28 giorni, quattro settimane per cui oggi 21 aprile possiamo dire che sono coperte le persone che si sono vaccinate fino al 24 marzo. Dove per “coperte” non si intende che non possono infettarsi (dopo la prima dose il rischio è abbastanza alto) ma che non corrono più un pericolo mortale.
Non tutte le vaccinazioni però riducono davvero la curva di mortalità.
Qual è l’incognita in tale previsione? L’euforia da riaperture unita alle varianti ad elevata potenzialità di contagio. Se i contatti a rischio con le riaperture del 26 aprile dovessero moltiplicarsi e con essi i contagi l’aumento di vittime tra cinquantenni e sessantenni bilancerà la riduzione di decessi tra le fasce più anziane. Non bisogna mai dimenticare che ogni cento persone di 50-59 anni che si ammala di Covid, una muore. Una probabilità diecimila volte più alta di incappare in una grave reazioni avversa con il vaccino. I numeri, insomma, ci invitano a comportarci con rigore per arrivare tra un mese a smettere nel bollettino quotidiano di contare i morti da Covid a centinaia.
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