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Nel nome della neutralità, vietare alle donne di indossare il velo islamico sul posto di lavoro non è discriminatorio. A patto, però, che si faccia lo stesso anche per tutti gli altri simboli di culto. La Corte di giustizia europea torna in maniera netta sul delicato dibattito tra religione e laicità occidentale, che periodicamente infiamma politica e società civile. E lo fa nelle stesse ore in cui la Corte suprema indiana si spacca sull'hijab indossato dalle ragazze a scuola rinviando la sua decisione.
E mentre, sullo sfondo, in Iran le donne portano avanti da più di tre settimane la loro coraggiosa protesta contro il regime, scattata dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, avvenuta a Teheran il 16 settembre scorso dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo.
LA SENTENZA
A distanza di un anno dall'ultimo pronunciamento in materia, la Corte Ue - chiamata questa volta ad esprimersi dal tribunale del Lavoro francofono di Bruxelles - scandisce la linea preminente degli ultimi tempi: se il datore di lavoro esige che i dipendenti siano vestiti in modo 'neutrò, senza esibire alcun segno religioso, filosofico o spirituale in modo evidente, può farlo senza essere accusato di discriminazione.
Nelle loro motivazioni, i giudici di Lussemburgo osservano che «poiché ogni persona può avere una religione o convinzioni religiose, filosofiche o spirituali», una disposizione di politica interna generale simile - «che vieta ai dipendenti di manifestare verbalmente, con l'abbigliamento o in qualsiasi altro modo, le loro convinzioni religiose o filosofiche, di qualsiasi tipo» - non costituisce, «nei confronti dei dipendenti che intendono esercitare la loro libertà di religione e di coscienza indossando visibilmente un segno o un indumento con connotazione religiosa, una discriminazione diretta 'basata sulla religione o sulle convinzioni personalì». Al giudice nazionale resta l'onere di verificare che il divieto - apparentemente neutro e indiscriminato - non prenda invece di fatto di mira le persone che aderiscono a una determinata religione o ideologia. Il nuovo caso belga, insomma, può dirsi chiuso. Ma con tutta probabilità non sarà l'ultimo.
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