Vescovi, lascia Bagnasco: ​la Cei vota il successore

Vescovi, lascia Bagnasco: la Cei vota il successore
Il cardinale arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco è stato presidente della Conferenza episcopale italiana per dieci anni, succedendo a un abilissimo stratega politico come...

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Il cardinale arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco è stato presidente della Conferenza episcopale italiana per dieci anni, succedendo a un abilissimo stratega politico come il cardinale Camillo Ruini. Dieci anni nella Chiesa sono tanti e il 2007 della prima nomina di Bagnasco sembra appartenere a un’altra era geologica. Oggi i vescovi di molte grandi diocesi italiane – da Torino a Venezia – non sono più nominati cardinali da un Papa che preferisce le periferie, e che sceglie a prescindere dalla sede: nel prossimo Concistoro sarà creato cardinale perfino un vescovo ausiliare (del Salvador), che dovrà fare da vice a un prelato che non sarà cardinale.


Tradizionalmente, il presidente della Cei era nominato dal Papa, mentre quelli delle altre conferenze episcopali nazionali sono eletti dai loro confratelli. Francesco ha proposto ai vescovi italiani di «normalizzare» la loro situazione, consentendo loro di eleggersi il presidente. La maggioranza dei presuli italiani preferiva la nomina pontificia, e alla fine si è arrivati a un compromesso: i vescovi voteranno tre nomi da presentare al Papa, che potrà scegliere in questa terna ma anche al di fuori di essa. La porpora cardinalizia esercita ancora un fascino sui vescovi italiani, e pertanto fra i possibili componenti della terna ci sono tre cardinali: Giuseppe Betori di Firenze, che conosce a fondo la macchina della Cei di cui è stato segretario, e due porpore create a sorpresa da Francesco in sedi tradizionalmente non cardinalizie, l’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti e quello di Agrigento, Francesco Montenegro. Quest’ultimo, per le sue posizioni in favore dell’accoglienza agli immigrati, potrebbe essere una scelta gradita al Papa e sgradita a qualche ambiente politico. Bassetti, che ha 75 anni, avrebbe già dovuto dimettersi, ma il Papa – che lo stima – lo ha confermato vescovo per altri 5 anni. È un moderato, su cui potrebbero convergere molti consensi.

Ci sono poi vescovi che non sono cardinali e sono certamente stimati dai loro confratelli, ma di orientamento diverso. L’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, ha iniziato il suo ministero in Brasile ma viene storicamente dall’esperienza di Comunione e Liberazione. Questo rischia di essere un handicap, ma il suo servizio episcopale a Taranto è lodato da molti colleghi vescovi come eccellente. Considerazioni simili valgono per il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla: è allievo del cardinale Carlo Maria Martini, un marchio di fabbrica che potrebbe farlo giudicare da alcuni troppo progressista, ma anche lui si è conquistato consensi per il suo ministero episcopale. Completa l’elenco dei vescovi considerati eccellenti da molti confratelli il vescovo di Fiesole, Mario Meini, che della Cei ė già vice-presidente. Possibili outsider sono l’arcivescovo di Modena, Erio Castellucci, quello di Catanzaro, Vincenzo Bertolone, e il vescovo di Teramo, Michele Seccia. 

Discorso a parte per l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi. È arrivato da poco sostituendo uno dei critici del Pontefice, il cardinale Carlo Caffarra. Sarebbe la scelta più “bergogliana” ma pesa il fatto che venga dalla Comunità di Sant’Egidio e che molti vescovi non siano inclini a accrescere il potere nella Chiesa di specifici movimenti. Un dato è certo: non è una chiave di lettura valida l’antica contrapposizione fra progressisti e conservatori. 


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