La storia oltre il mito: quando Parthenope si arrese a Neapolis

La bibliografia neapolitana di Greco-Giampaola prende le mosse dal grande studio di Bartolommeo Capasso dedicato alla Napoli greco-romana

La storia oltre il mito: quando Parthenope si arrese a Neapolis
«Così cantava Parthenope, che provava un dolore dolce La sua voce era una freccia che colpì il mio cuore» ...

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«Così cantava Parthenope, che provava un dolore dolce
La sua voce era una freccia che colpì il mio cuore»


(Johann Gottfried Herder, Parthenope)

* * *

Diceva don Benedetto Croce che le fiabe «aprono il mondo della poesia», mentre le leggende spalancano davanti a noi la Storia, che è fatta di uomini, pietre e misteri che continuano a parlarci da un lontano passato. Napoli, nata secondo il mito da una Sirena che si lasciò morire, conserva sin nel nome il mistero di una doppia fondazione: Neapolis è la città nuova, che succede a Parthenope, il più antico insediamento di origine cumana. Un libro, uscito di recente, penetra il cuore incandescente del genius loci, del mito fondativo della città. Si chiama Napoli prima di Napoli ed è stato scritto a quattro mani da due archeologi di fama: Emanuele Greco, già professore ordinario di Archeologia classica all'Orientale e direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, e Daniela Giampaola, che è stata funzionario nei ruoli del Ministero della Cultura, con responsabilità della tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico del centro storico di Napoli.

Da Parthenope a Neapolis, dunque: ma come avvenne questa rifondazione e, soprattutto, perché avvenne? Per molti anni la ricostruzione storica delle vicende che da Parthenope portarono a Neapolis è stata fissata combinando fonti letterarie e archeologiche da cui si ricavava una data di fondazione successiva alla battaglia di Cuma del 474 a.C. Oggi il quadro di riferimento è radicalmente mutato per effetto dei grandi scavi seguiti al terremoto del 1980 e ai lavori per la metropolitana, con le loro straordinarie scoperte. Lo studio di Giampaola-Greco non si limita a definire la cronologia della città, ma illustra le trasformazioni urbanistiche e architettoniche che interessarono il nucleo originario, permettendoci di riscriverne la storia fino all'età romana, epoca a cui rimanda l'eccezionale scoperta del santuario dei Giochi Isolimpici - i Sebastà -, testimonianza dell'ammirazione dell'imperatore Augusto per la cultura greca che Neapolis conservava come nessun altro centro dell'Italia antica e tutt'ora visibile nell'impianto urbano della «città porosa».

Nelle viscere della terra c'è la nostra memoria. Anche se lo stato della ricerca non consente ancora di dare risposte definitive, gli studiosi sono concordi nell'ipotizzare che un luogo di culto dedicato a Partenope sorgesse nel luogo dove si svolgevano le gare più famose della Napoli greca: le corse lampadiche. È lo stesso sito dove l'imperatore Augusto, nel I secolo dopo Cristo, fece edificare un nuovo tempio (romano) che accolse i famosi Giochi Isolimpici, istituiti da Augusto proprio a imitazione dei Giochi che si svolgevano in Grecia, nel santuario di Olimpia. Recentemente i lavori per la stazione della metropolitana in piazza Nicola Amore hanno gettato nuova luce su queste straordinarie testimonianze del passato. Quanti rimandi alla sirena Partenope in questo luogo della città. «Forte - affermano Giampaola e Greco - è la suggestione che l'ubicazione del Santuario dei Giochi Isolimpici sia stata volutamente correlata a un luogo legato, nella memoria della città, al culto della Sirena». Il tempio Isolimpico, infatti, fu fondato sui resti di un complesso edilizio più antico (quarto secolo a.C.) teatro dell'antica gara della lampadedromia, in onore di Partenope. Al di sotto del Tempio Isolimpico è possibile riconoscere, infatti, una destinazione di culto. Frammenti di memoria che tornano alla luce, grazie al lavoro tenace degli archeologi urbani.

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Furono i primi coloni a introdurre a Napoli il culto orientale delle Sirene, esseri mitologici con la testa di donna e il corpo d'uccello (in seguito rappresentati metà donna e metà pesce) che si diffuse in tutto il sud del mar Tirreno: la divinità Partenope evoca tutto ciò che il mare rappresenta, le sue dolcezze e i suoi abissi spettrali, i suoi misteri e i pericoli che vi si annidano, e Dio solo sa quanto subissero il fascino di questi richiami gli antichi naviganti che, esausti, approdavano sulle coste campane dopo viaggi di mesi, talora anni, tra mille insidie e senza il conforto di una voce di donna lungo il tragitto.

Da sempre adoperiamo l'aggettivo partenopei come sinonimo di napoletani, mentre quasi mai si usa Parthenope per indicare Napoli. Alla nascita della città nuova (Neapolis) la vecchia cara Parthenope prese a chiamarsi Palaepolis (Città vecchia). Greco e Giampaola ritengono che in questa ridenominazione svolgano un ruolo non secondario i coloni Ateniesi, ai quali si deve l'introduzione della lampadodromia, in omaggio alla Sirena. Sarebbe stato l'imperatore Augusto, invece, a mandare definitivamente in soffitta il nome Parthenope, e pretendere che la città continuasse a essere chiamata Neapolis.

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Altre zone, altre pietre che parlano dal passato. Trecento anni prima della nascita di Cristo una torre - oggi inglobata nei sotterranei del teatro Trianon - sorgeva a difesa della Porta di Forcella. Monumento di pietra a una gloria passata, la torre di Forcella faceva parte di un'antica cinta muraria cittadina che oggi può essere identificata nei resti conservati in piazza Calenda, entrati da tempo nella toponomastica cittadina con il nome di cippo a Forcella. Quanti accumuli di storia, a ridosso di piazza Calenda. Forcella reca fin nel tracciato delle strade, nel segno urbanistico, le stigmate del suo passato. La nobiltà perduta rivive nei palazzi storici, nelle tracce delle antiche Terme, nei labirinti della toponomastica. Ma anche negli arcani simbolismi racchiusi in una lettera dell'alfabeto - la Y - da sempre associata al quartiere. Y come l'emblema della Suola Pitagorica che sorgeva tra i vicoli dei Decumani: i suoi geniali adepti - i Pitagorici napoletani - erano convinti che quella lettera dell'alfabeto rappresentasse la sintesi della perfezione assoluta.

L'antico impianto urbanistico di Neapolis - materia su cui c'è ancora tanto da indagare - è al centro di numerosi studi, tutti appassionanti. Tra le ricerche più recenti sui fattori urbanistici che furono alla base dell'atto fondativo della Nea-Pòlis va senz'altro citata quella condotta dall'architetto Teresa Tauro con Fausto Longo, che ha aperto la via ad altri più impegnativi studi sulla origine di Napoli oggetto oggi di una impegnativa ricerca universitaria triennale, ancora in corso, e che presto vedrà la luce, condotta dalla stessa Teresa Tauro con studiosi del calibro di Alfredo Buccaro e il suo Centro CIRICE e Alfonso Mele, maestri nelle loro discipline di decine di allievi.

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La bibliografia neapolitana di Greco-Giampaola prende le mosse dal grande studio di Bartolommeo Capasso dedicato alla Napoli greco-romana (1905), alla cui stesura don Bartolommeo dedicò gli ultimi anni della sua vita. A guidarlo, forse, era il timore che il piccone del Risanamento distruggesse per sempre le tracce delle memorie antichissime del centro storico. Memorie aragonesi, angioine e via a ritroso nel tempo fino ai primi insediamenti greci e romani, quelli che Capasso con la sua topografia della memoria ha provato fino all'ultimo a sottrarre all'oblio. «Per me e per quanti amano le patrie glorie - scrisse nella prefazione del suo libro più importante - quelle mura sono sacre; io le guardo sempre con religiosa venerazione. Passando sotto le basse volte di quegli archi, la mia fantasia attraversa i secoli e, come per incanto, si trasporta ai tempi che furono». 

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Il Mattino