La frenesia del napoletano arrabbiato

La frenesia del napoletano arrabbiato
Nzallanuto!, urla l'uomo al volante al ragazzo che guida il camioncino. S'è affacciato al finestrino per dirgli che, dallo sportello posteriore tenuto chiuso con...

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Nzallanuto!, urla l'uomo al volante al ragazzo che guida il camioncino. S'è affacciato al finestrino per dirgli che, dallo sportello posteriore tenuto chiuso con una corda, perde fogli e li sta spargendo sulla strada rallentando il traffico. Il ragazzo gli risponde malamente di farsi i fatti suoi e avanzare. Ma poiché la circolazione è ferma all'altezza del Museo, l'uomo scende dall'auto, il giovane fa altrettanto: non vengono alle mani, le allungano urlando cose turpi su parenti e reciproche origini. La gente intorno non interviene: spinge più avanti il muso della vettura. Un motorino passa nel mezzo, io stessa mi faccio largo per attraversare.

Il cognitivista Steven Pinker ne è certo: la facoltà umana di comunicare è innata, ma il linguaggio è modellato dalle esigenze e dall'ambiente. Ogni lingua racconta come pensa e vive il popolo che la parla e tale caratteristica si mostra a pieno proprio nell'ambito offese e insulti. Nelle lingue bikol parlate nelle Filippine chi è arrabbiato usa un vocabolario speciale; in giapponese, la gerarchia sociale ha un ruolo: è possibile offendere dando inappropriatamente del tu.

In napoletano, la scelta di termini è ampia eviterò, per ragioni ovvie, di riportarli ma la radice dell'arrabbiatura sempre quella: nella città che risulta vivace agli occhi del visitatore, il cittadino non tollera la lentezza. In qualsiasi ambito, lui deve muoversi. Per andare dove, chissà. 

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Il Mattino