La chiesa ritrovata: Don Pedro, guarda cosa ti sei perso!

La chiesa ritrovata: Don Pedro, guarda cosa ti sei perso!
«Napoli è spagnola, sta in Italia per sbaglio»  (Erri De Luca) * * * Viaggio all'inferno e ritorno....

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«Napoli è spagnola, sta in Italia per sbaglio» 

(Erri De Luca)

* * *

Viaggio all'inferno e ritorno. È la sorte toccata a uno dei complessi religiosi e architettonici più importanti di Napoli, la basilica di San Giacomo degli Spagnoli, inglobata nel palazzo del Municipio e negata ai napoletani e ai turisti, per molto tempo simbolo di una città che gonfia il petto per i suoi tesori, per i suoi luoghi della memoria, ma non riesce a tutelarli, a salvarli da un destino di rovina. Ma questa è una storia a lieto fine, perché San Giacomo degli Spagnoli lentamente sta tornando alla vita (e al decoro) grazie a un complesso intervento di restauro promosso dai governatori dell'arciconfraternita (Giuseppe de Vargas Machuca, Landolfo Caracciolo di Melissano e Giovanni de Lutio) e da Friends of Naples, l'associazione presieduta dall'architetto Alberto Sifola che in pochi anni, grazie alle donazioni di numerosi soci e sostenitori, ha già sottratto al degrado luoghi di straordinario valore, come Porta San Gennaro, di fronte al borgo dei Vergini, affrescata da Mattia Preti.

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La basilica di San Giacomo degli Spagnoli, che accoglie il gran mausoleo di don Pedro de Toledo, capolavoro della scultura rinascimentale del Cinquecento in Italia (fu scolpito tra il 1540 e il 1560 da Giovanni Merliano da Nola) è chiusa al pubblico e alle funzioni da quasi una decina d'anni. Colpa delle copiose infiltrazioni d'acqua causate da una impermeabilizzazione fatiscente, un lento stillicidio che stava lentamente ma inesorabilmente mandando in malora gli stucchi, le pitture, le tele e i marmi. E mettendo in pericolo la statica stessa del monumento. Il restauro di Friends of Naples, con la messa in sicurezza delle capriate in legno del sottotetto, consentirà di valorizzare i tanti capolavori presenti nella basilica: tra questi un dipinto preziosissimo e poco conosciuto di Luca Giordano, La Vergine che appare a San Giacomo, alle spalle della sacrestia. Nel quadro si riconosce la città di Saragozza, meta della missione di evangelizzazione di San Giacomo, protettore delle Spagne.

La costruzione della basilica di San Giacomo degli Spagnoli risale al 1540. A volerla fu il viceré spagnolo don Pedro de Toledo, che intendeva associarla ad un ospedale destinato alla cura dei poveri già presente per la volontà di alcuni nobili spagnoli e dedicato a San Giacomo il Maggiore; l'opera fu commissionata all'architetto Ferdinando Manlio (già artefice del palazzo vicereale e della ristrutturazione di Castel Capuano). L'edificio subì una profonda trasformazione a partire dal 1741 con una serie di restauri e con l'abbattimento dell'ospedale, costretto a far posto al palazzo innalzato negli anni venti dell'800 per accogliere alcuni ministeri di Ferdinando I di Borbone (oggi Palazzo San Giacomo, sede del Comune, realizzato dai fratelli architetti Stefano e Luigi Gasse).
Il restauro, già avviato grazie all'intervento di Landolfo Caracciolo di Melissano e degli altri governatori dell'arciconfraternita, ha già consentito il recupero di molte cappelle, tra cui quelle della Madonna di Montserrat e della Vittoria. Recuperato anche il cancello di ingresso, sulla facciata principale di Palazzo San Giacomo, con i suoi bordi decorati, gli ostensori dorati e il motto della confraternita che accoglie (accoglierà) i visitatori. E poi lo splendido portone ligneo cinquecentesco, al termine della scalinata, con i pannelli a rilievo dove sono rappresentate immagini sacre.

Il restauro della basilica - possibile anche grazie ai finanziamenti ottenuti per Friends of Naples dall'ambasciatore italiano a Mosca Quito Terracciano - consente di riannodare il filo che lega Napoli alla Spagna, due culture millenarie che si incrociarono all'ombra del Vesuvio nel 500 e nel 600. Una storia cominciata nel lontano 1532. Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga, il mitico don Pedro de Toledo, calò il pugno di ferro su Napoli nel settembre di quell'anno, governando per ventuno anni e trasformando la città in una delle roccaforti più impenetrabili dell'impero spagnolo. Una delle strade più importanti della città porta il suo nome, o meglio quello della sua città di origine: Toledo. Quando Paolo Emilio Imbriani, che fu sindaco di Napoli dal 1870 al 1872, con una decisione scellerata fece mutare il nome di via Toledo con quello di via Roma (neocapitale del Regno d'Italia) la città si ribellò prendendolo a fischi e pernacchie, tanto che lo stesso Imbriani arrivò a far sorvegliare le nuove targhe da guardie municipali temendo che i napoletani le infrangessero a colpi di sassi.

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Cinque secoli dopo gli anni del temutissimo don Pedro, Napoli non ha dimenticato il suo monumentale viceré, il cui cenotafio sorge proprio nella basilica di San Giacomo degli Spagnoli. Il monumento sepolcrale fu scolpito nel 1570 da Giovanni da Nola, su volontà dello stesso viceré di Napoli, il quale però morì prima che il sarcofago venisse trasportato a Villafranca, il feudo ereditato dalla moglie. Così don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga è stato sepolto a Firenze, dove il suo cuore cessò di battere, il 22 febbraio 1553. Il monumento funebre è ornato di fregi, teste e festoni su cui si trovano le statue allegoriche delle virtù cardinali: Giustizia, Prudenza, Fortezza e Temperanza, simboli delle doti morali riconosciute al sovrano spagnolo, l'uomo, per dirne una, che con un ordine perentorio mise fine allo scandalo dei riti mitriaci, vagamente orgiastici, che si svolgevano nelle gallerie di tufo del Monte Echia. Uno dei bassorilievi che compongono il monumento raffigura la visita napoletana di Carlo V nel 1535: don Pedro, sceso da cavallo, aspetta a Porta Capuana l'arrivo dell'imperatore, mentre intorno si snoda un festoso corteo. Breve ma necessaria digressione sullo scultore Giovanni Merliano da Nola. Era, costui, un'autentica archistar dei suoi tempi. Basti ricordare che molte sue opere sono tuttora conservate nelle chiese più famose di Napoli; Giovanni da Nola progettò molti edifici tra cui il Palazzo Giusso e il Palazzo di Sangro e porta la sua firma anche il restauro della Fontana della Spinacorona, o «delle zizze», addossata alla chiesa di Santa Caterina della Spina Corona, nei pressi di piazza Nicola Amore.

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Napoli non ha dimenticato il suo don Pedro e non ha dimenticato nemmeno l'origine dei Quartieri, che furono chiamati Spagnoli proprio perché il fumantino viceré decise di confinarvi le sue guarnigioni militari. Ma quella del viceré Toledo è stata una rivoluzione urbanistica più ampia. Nei primi decenni del 500 don Pedro stabilì il riordino del tracciato urbano che costeggia la nuova via Toledo, a lui intitolata. L'area a est della strada, strategicamente vicina a Castel Nuovo e al Palazzo vicereale - i centri del potere politico - venne destinata agli alloggiamenti per le truppe spagnole e le loro famiglie. Nacquero così, impostati su una maglia a scacchiera con sei strade parallele a via Toledo e numerose altre piccole vite perpendicolari, i Quartieri Spagnoli.

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Com'è noto, le tracce del genio di Luca Giordano, a Napoli, sono ovunque. Ancora oggi Luca Fapresto - lo chiamavano così perché era in grado di affrescare cupole e navate in pochi giorni - non è ricordato solo come uno dei più grandi pittori napoletani del 600, ma anche come il più prolifico, con oltre tremila dipinti disseminati in ogni parte del mondo. Moltissimi naturalmente a Napoli, la città dove nacque il 18 ottobre 1634. Uno di questi dipinti è custodito proprio nella chiesa voluta dal grande viceré Pedro de Toledo, a una ventina di metri in linea d'aria dalla poltrona del sindaco. Ma quanti napoletani lo sanno? 

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Il Mattino