Demetra, la dea furiosa tra le ombre di San Gregorio Armeno

Demetra, la dea furiosa tra le ombre di San Gregorio Armeno
«Demetra dalle belle chiome, dea veneranda, io comincio a cantare, e con lei la figlia dalle belle caviglie» ...

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«Demetra dalle belle chiome, dea veneranda, io comincio a cantare, e con lei la figlia dalle belle caviglie»

(Omero, Inno a Demetra).

* * *

Al contrario di altre città rase al suolo dalla civiltà moderna, Napoli non è affondata nell'immane naufragio dell'età antica. Curzio Malaparte la definì una Pompei mai sepolta, e aveva ragione, perché da duemilacinquecento anni continua a crescere su sé stessa, come una Babilonia piena di crepe, lividi e cicatrici. I luoghi, per fortuna, sopravvivono allo scempio che spesso ne facciamo e con essi sopravvivono anche i culti, i miti e le tradizioni. Spesso transitando da una figura all'altra, com'è avvenuto con il mito di Partenope, genius loci di Napoli magica, che si è trasferito nel culto di Virgilio Mago e, di incantesimo in incantesimo, fino a quello del santo patrono della città, Ianuarius. Nel pantheon degli déi, e della nostra memoria, uno spazio di rilievo è occupato dalle figure femminili: come Demetra, il cui tempo sorgeva nella zona di San Gregorio Armeno.

* * *

Ma chi era Demetra? Sorella di Zeus, dea del grano e dell'agricoltura, nella mitologia greca è l'artefice del ciclo delle stagioni, mentre in quella romana la sua figura corrisponde a quella di Cerere. In suo onore, nella città greca di Eleusi, si svolgevano i riti religiosi segreti più famosi dell'antica Grecia. I misteri eleusini rappresentavano il mito del rapimento della figlia di Demetra, Persefone, da parte del re degli abissi e degli inferi, Ade. Storia terribile e maledetta, perché dopo aver rapito Persefone, Ade la portò con sé nel suo regno dell'Oltretomba. Così la povera Persefone, nel pantheon greco, diventò la dea del mondo sotterraneo e Demetra cominciò a dannarsi nel tentativo di ritrovare la figlia perduta.

Il mito di Demetra e del rapimento di Persefone (nella mitologia romana diventano Cerere e Proserpina) si incrocia con quello delle Sirene, che un tempo ancelle e compagne di Persefone furono punite dalla madre della fanciulla proprio per non aver saputo proteggere la figlia, rapita da Ade (Plutone). Disperata e furibonda, Demetra, per punirle, le trasformò in creature con il corpo di uccello e la testa di donna, come vengono raffigurate nella mitologia greca. Noi ne sappiamo qualcosa, perché una di queste ancelle trasformate in Sirene era la nostra Partenope.

Secondo una variante dello stesso mito, furono le ninfe-Sirene a implorare Demetra a donare loro le ali, per cercare in volo la figlia rapita. Senza Demetra, impegnata con le Sirene nella ricerca della figlia scomparsa, la terra s'inaridì, i terreni si secarono, gli alberi non diedero più frutti. Senza Demetra la terra era destinata a morire. Dovette intervenire Zeus a riportare la pace e la serenità (si fa per dire) obbligando Ade a restituire Persefone alla madre. Ma il dio delle tenebre l'aveva ingannata invitandola a mangiare dei semi di melograno che la costrinsero a tornare negli inferi per alcuni mesi all'anno. Così Persefone cominciò a trascorrere sei mesi nel Regno dei Morti e sei mesi tra i vivi, nella terra che ricominciava a fiorire.

Il seme muore per germogliare. Nasceva il ciclo delle stagioni.

Fin qui il mito, con i suoi infiniti rimandi, i suoi meravigliosi labirinti. La strada di Demetra, Dà-Mater, dea madre, nella mitologia greca incrocia quella di Partenope, genius loci di Napoli. La sirena da cui nacque Palepolis, e poi Neapolis.

* * *

Uno straordinario reperto ritrovato nel 600 sotto l'arco di San Gregorio Armeno (ad opera dell'erudito Giulio Cesare Capaccio) rivela la presenza, nel centro antico della città, di un luogo di culto dedicato a Dà-Mater. Si tratta di un bassorilievo posto all'altezza del piano di calpestio di via San Gregorio Armeno, risale al secondo o terzo secolo avanti Cristo e vi è raffigurata una canefora di Demetra. Il nome canefora indicava le fanciulle che nelle processioni e nei riti sacri della Grecia classica recavano sul capo i canestri contenenti oggetti del culto e offerte. Vergini appartenenti alle più altolocate famiglie patrizie dell'epoca, come Tettia Casta, Cominia Plutogenia, Terenzia Paramone. Tettia Casta era la più famosa: dedicò tutta la sua vita al culto di Demetra e raggiunse un tale livello di influenza che alla sua morte l'assemblea cittadina decise di dedicarle una statua, una corona d'oro e uno scudo con il suo volto.

Ma cosa ci fa una sacerdotessa di Demetra - Madre terra, Madre dispensatrice - tra i pastori di San Gregorio Armeno? Tra gli studiosi della Napoli greco-romana sono in molti a pensare che il tempio dedicata a Demetra si trovasse proprio lì, nel luogo dove sarebbe poi sorta, in età cristiana, l'attuale chiesa di San Gregorio Armeno. Fu Sant'Elena, madre dell'imperatore Costantino, a trasformare il tempio di Demetra (Cerere per la mitologia romana) in una chiesa cristiana. Nell'VIII secolo Stefano, vescovo di Napoli, la riedificò dalle fondamenta e vi trovarono rifugio le suore di San Basilio sfuggite alla persecuzione d'Oriente; poiché il loro protettore era San Gregorio Armeno, ecco spiegato il nome poi imposto al luogo di culto.

Il mito, e le tradizioni, transitano da una cultura all'altra; non v'è culto pagano del quale il Cristianesimo delle origini non si sia impossessato, adattandolo alle proprie esigenze, per edificare la propria grandezza. Ma nel caso del tempio di Demetra-Cecere ci sarebbe stato un ulteriore passaggio di testimone: alla dea i cittadini greci offrivano ex voto in forma di piccole statuine di terracotta, e a questa tradizione si fa risalire la moderna connotazione della strada dei pastori.

La sacerdotessa di Demetra, protettrice dei raccolti, indossa una veste leggerissima e un copricapo a forma di corona. Con una mano regge una fiaccola, con l'altra un canestro. Bartolommeo Capasso, grande studioso della Napoli greco-romana, non ha dubbi: «Il tempio corrisponde alla chiesa di San Gregorio Armeno». E a sostegno di questa tesi cita le «tavole marmoree che rappresentavano il ratto di Proserpina con Cerere, che andava in cerca della figlia» (Bartolommeo Capasso, Napoli greco-romana). Altri studiosi, come l'archeologo Mario Napoli, hanno ipotizzato invece che il tempio di Demetra sorgesse nell'area di Caponapoli, e precisamente nei pressi dell'attuale ospedale degli Incurabili. «Il volto di Demetra - come ricordano Antonio Emanuele Piedimonte e Gennaro Rispoli nel libro La collina sacra - è raffigurato nelle centinaia di statuette votive ritrovate sulla collina sacra di Caponapoli insieme agli altri segni del culto e di ciò che restava del santuario dove si celebravano i Misteri eleusini, gli occulti riti di epoca arcaica che precedettero persino l'apparizione dell'Olimpo».

Con Apollo e i Dioscuri (Castore e Polluce), Demetra-Cerere faceva parte delle divinità patrie celebrate a Neapolis. Altri templi, nell'antichità, furono innalzati a Partenope e gli storici continuano a dibattere, a distanza di secoli, sulla sua esatta ubicazione: è a Megaride? È nella zona del teatro San Carlo? O a Caponapoli? O a San Giovanni Maggiore? (vedi Uovo di Virgilio del 6/03/2022). Non sono solo deliziose dispute accademiche: miti e culti definiscono l'identità di un popolo, raccontano la storia di una comunità, il suo percorso culturale. Ritrovarne i segni - come questa pagina cerca di fare, da molti anni ormai - non è impresa facile in una città ricoperta di veli, stratificata come poche al mondo.

Una Pompei mai sepolta. 

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Il Mattino