Un amore per due e il mare di Posillipo diventò rosso sangue

Un amore per due e il mare di Posillipo diventò rosso sangue
«Meglio essere protagonisti della propria tragedia che spettatori della propria vita» (Oscar Wilde) * * * Un...

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«Meglio essere protagonisti della propria tragedia che spettatori della propria vita»

(Oscar Wilde)

* * *

Un naufragio nelle acque del mito e della leggenda; due fratelli uniti, e poi divisi, dall'amore per la stessa donna; un omicidio-suicidio, dai contorni decisamente shakespeariani; e un'antica cappella, dedicata a San Pietro, svanita nel nulla, forse inglobata dalle costruzioni moderne. Gli ingredienti per costruire un giallo ci sono tutti: il giallo dello scoglio più misterioso della città, quello di San Pietro ai due frati.

* * *

Nel cuore di Posillipo, e più esattamente nel tratto di costa compreso tra le ville di Grottamarina e Cottrau, sorgeva nel Cinquecento, stretta tra due scogli oggi spianati dal lavoro tenace del mare, una piccola cappella dedicata a San Pietro. Chiesetta le cui origini sono avvolte nella leggenda: Benedetto Croce - grande esploratore di misteri, e soprattutto di «luoghi della memoria» - dubita che sia realmente esistita. In realtà l'esistenza della chiesa di San Pietro, come spiega Domenico Viggiani nel bel libro

I tempi di Posillipo, sarebbe attestata da un contratto stipulato nel 1575 presso un notaio napoletano, Nicola Avitabile. Una piccola cappella, appartenente al convento di Santa Brigida, venne effettivamente ceduta, quell'anno, ai due fratelli Angelo e Francesco Fazaro. La misteriosa e mai rintracciata cappella di San Pietro l'Apostolo avrebbe poi dato il nome a questo tratto di costa.

Districarsi nei labirinti della toponomastica, e delle antiche mappe, è un'impresa difficile ma affascinante. Lo è ancora di più - in una città in cui anche le favole, da Partenope in poi, danno il nome ai luoghi - risalire all'origine di un'antica leggenda: quella dei due scogli che ogni anno, la notte di San Pietro e Paolo del 29 giugno, si scambiano di posto.

I due fratelli (i frati della leggenda) non erano Angelo e Francesco Fazaro, ai quali si fa riferimento nell'atto notarile del 1575, ma Carmine e Luigi, che abitavano con la madre su un pendio boscoso di fronte alla baia. Legatissimi tra loro, amavano entrambi quello specchio di mare che divenne il teatro delle loro scorribande acquatiche e di improvvisate gare di nuoto. Un giorno i due fratelli videro una barca di pescatori, poco distante dagli scogli, che oscillava pericolosamente tra le onde. Poi udirono le grida disperate di una giovane donna e si tuffarono per prestare soccorso. Ma non poterono far altro che assistere alla tragedia: dopo aver urtato lo scoglio l'imbarcazione colò a picco e Carmine e Luigi riuscirono a salvare solo la ragazza che aveva urlato per chiedere aiuto. Si chiamava Concetta: suo padre e suo fratello erano stati inghiottiti alle onde.

Quando la tempesta si fu placata, ai due fratelli non restò altro da fare che portare a riva i corpi dei due pescatori, per concedere loro una dignitosa sepoltura proprio nella chiesetta dedicata a San Pietro Apostolo. Fu Carmine a proporre a Concetta di trasferirsi nella casa sul pendio, per restare vicina ai familiari perduti. E lei, mossa dalla disperazione, accettò.

I giorni trascorrevano quieti, e a poco a poco la ragazza si rasserenò: quella piccola comunità, anch'essa di pescatori, riunita attorno alla cappella di San Pietro diventò la sua nuova famiglia. Concetta nutriva per i due fratelli che le avevano salvato la vita un affetto sincero, di notte si addormentava ascoltando i loro racconti. Una storia, in particolare, la colpì profondamente; era ambientata in quello stesso tratto di mare ed era la storia di un ragazzo di nome Nicola, che aveva lunghe dita palmate e la pelle ricoperta di squame. Il ragazzo Nicola - le raccontavano Carmine e Luigi - adorava immergersi sempre più in profondità per poi risalire e raccontare al popolo, che lo incitava a scendere ancora, e ancora, e ancora, che cosa ci fosse nel mondo capovolto, da quali misteriose creature fosse abitato. A ogni richiesta s'inabissava, riemergendo con racconti d'inferni e paradisi, mostri e coralli, scheletri di antichi palazzi sprofondati e carcasse di navi colate a picco.

* * *

Nicola, Cola per gli amici, era nato in riva al mare di Santa Lucia; al mare trascorreva così tanto del suo tempo che la madre, indispettita, gli lanciò un giorno una maledizione: «Potessi addiventà 'nu pesce!». Da quel giorno, il ragazzo visse davvero come un pesce, capace di restare talmente a lungo sott'acqua da alimentare la leggenda che fosse divenuto - a sua volta - una creatura marina. E tutti cominciarono a chiamarlo Colapesce. Il ragazzo con le branchie e la pelle squamosa si lasciava inghiottire dai pesci più grossi e a bordo di quei pesci viaggiava, esplorando abissi e misteri. Per uscirne, ne lacerava il ventre servendosi di un lungo pugnale. La fama delle sue imprese, di bocca in bocca, giunse fino a Federico II, che volle conoscerlo. L'imperatore volle sottoporlo a una gara mettendo in palio il matrimonio con la propria figlia; fece sparare una palla di cannone e gli chiese di riportarla: Colapesce si lanciò in acqua e le nuotò dietro, senza fermarsi mai. Per un attimo giunse anche a toccarla, ma all'improvviso, sollevata la testa in alto, vide sopra di lui le acque che lo sovrastavano come un marmo sepolcrale, e si ritrovò in uno spazio orribile, vuoto, silenzioso. Che diventò la sua tomba.

* * *

Con il passare del tempo, il sentimento provato dai due fratelli per Concetta mutò. Il primo a dichiararsi con lei fu Carmine, ma dopo pochi giorni anche Luigi confessò alla ragazza il proprio amore. I due ragazzi, un tempo così uniti, divennero rivali, e quando la scelta di Concetta cadde su Carmine, Luigi si sentì invadere dalla gelosia. Una notte, durante la festa di Carnevale, accadde l'irreparabile. Luigi si mascherò da capo a piedi e approfittò della confusione per portare via la ragazza, trascinandola in mare aperto a bordo di una piccola imbarcazione. Ma Concetta, divincolandosi, riuscì ad attirare l'attenzione di Carmine, che montò a bordo di una seconda barca e, raggiunto lo sconosciuto, lo pugnalò alle spalle uccidendolo. Quando si rese conto che lo sconosciuto era suo fratello, impugnò nuovamente la lama e si trafisse a sua volta il cuore.

La leggenda della baia dei due frati ha subito nella storia numerose trasposizioni. Si narra che lo scoglio davanti al quale avvenne la tragedia, durante una tempesta, fu colpito da un fulmine che lo divise in due parti. E che da allora, a ogni ricorrenza di San Pietro e Paolo, il 29 giugno, i due scogli misteriosamente si invertono di posto.

Una ripida scalinata stretta tra case e tufo, lo stesso angolo di paradiso che accolse lo scandaloso Oscar Wilde a fine 800. «Intendo svernare qui. Forse vivere qui. Vengo qui per cercare di realizzare la perfezione del mio temperamento e della mia anima», scrisse l'autore de Il ritratto di Dorian Gray contemplando il paesaggio della casa di San Pietro ai due Frati. Wilde era giunto a Napoli in compagnia dell'amico-amante Alfred Douglas, l'adorato Bosie, e soggiornò in città dal 20 settembre 1897 al 13 febbraio successivo. Dopo le prime due settimane trascorse al Royal, Wilde e Douglas si trasferirono a Villa Del Giudice (l'odierna Villa Bracale, al civico 37 di via Posillipo) e più precisamente nella cosiddetta casa Tafone, in rosso pompeiano, immersa nell'incanto della discesa di San Pietro ai due Frati, proprio davanti allo scoglio dove si consumò la tragedia dei due sfortunati fratelli innamorati della stessa donna. 

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Il Mattino