Maxi processo oro nero: 54 a processo nel Vallo di Diano

Maxi processo oro nero: 54 a processo nel Vallo di Diano
Sono 54 le persone rinviate a giudizio dal Tribunale di Potenza, indagate e ora imputate, nel processo «Febbre dell’Oro nero». La decisione dal giudice...

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Sono 54 le persone rinviate a giudizio dal Tribunale di Potenza, indagate e ora imputate, nel processo «Febbre dell’Oro nero». La decisione dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale lucano è arrivata nell’aula bunker. Il 16 giugno è stata fissata nel Tribunale di Lagonegro la prima udienza del procedimento penale scaturito dall’inchiesta che ha evidenziato - secondo quanto fatto emergere dalle forze dell’ordine - infiltrazioni camorristiche e della mafia tarantina nel Vallo di Diano. 

Gli imputati dovranno rispondere, a vario titolo, dei reati di associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi in materia di accise ed Iva sugli oli minerali, intestazione fittizia di beni e società, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita. L’inchiesta è stata condotta dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Potenza e di Lecce, in 3 hanno chiesto il rito abbreviato. Il processo inizialmente si sarebbe dovuto tenere presso l’aula bunker del Tribunale di Salerno, così da poter avere uno spazio adeguato visto il numero consistente di imputati, ipotesi scartata a favore del tribunale di Lagonegro. Secondo quanto emerso durante una lunga inchiesta, il Vallo di Diano era stato visto come «terreno fertile» per alcune azioni criminali da parte di esponenti del clan camorristico dei Casalesi che utilizzavano il petrolio per colonizzare il comprensorio. Si è trattata di un’opera congiunta di Carabinieri e Guardia di Finanza sulla truffa allo stato da parte di un’associazione a delinquere che ha visto – secondo le Procure di Potenza e Lecce – unirsi i casalesi, la mafia tarantina e alcuni elementi criminali nel Vallo di Diano. Tra gli elementi di spicco Raffaele Diana, accusato di aver usato i soldi dei casalesi, provenienti dallo spaccio e dall’estorsione, per fare affari illeciti nel Vallo. Per poterlo fare ha «usato» le aziende di idrocarburi di un imprenditore pollese, che in pochi anni è passato da un bilancio quasi pari allo zero a superare i 15 milioni di euro. Nel triangolo è arrivato poi anche il lato pugliese, la mafia tarantina comandata da Michele Cicala. Buona parte delle altre persone coinvolte è residente in provincia di Salerno. I tarantini fornivano ai «soci» attivi nel Vallo di Diano un elenco di nominativi di imprenditori agricoli che erano all’oscuro di tutto le cui identità fiscali e i libretti Uma venivano clonate in modo che le imprese legate ai casalesi potessero fatturare fittiziamente la vendita del carburante per uso agricolo agli imprenditori che avevano subito il furto dell’identità fiscale, mentre in realtà il prodotto veniva venduto in nero a operatori economici che lo immettevano fraudolentemente nel mercato per autotrazione con guadagni di circa il 50% sul costo effettivo di ogni litro di benzina e nafta venduti. 

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Il Mattino