Pochi giorni fa un suo post su Facebook ha raccolto numerose interazioni e condivisioni. Parlava del dramma che si vive nella Bergamasca, di ambulanze attivate ma mai arrivate a...
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«Per noi medici di base - ha raccontato - non è stato affatto semplice. E tuttora non lo è, perché mancano ancora indicazioni chiare sulla gestione dei pazienti e sulle terapie. Da una settimana sono state istituite delle unità speciali, denominate Usca, dedicate appositamente ai pazienti con sintomi, per cui noi medici di base siamo stati sollevati dall’effettuare visite mediche domiciliari». Anche perché il cosiddetto “medico di famiglia” è stato inviato in guerra senza armi, pagando uno scotto numeroso anche in termini di decessi: «La dotazione di dispositivi di protezione è stata lenta ed inadeguata, per questo diversi medici di base hanno evitato le visite a casa dei pazienti. Io, per fortuna, mi ero procurato una mascherina ffp3 che ho acquistato a mie spese in tempi non sospetti, quindi ho proseguito con il lavoro regolarmente. Ma in molti hanno dovuto rinunciare».
Dall’interno, il modello sanitario della Lombardia ha registrato delle pecche: «Non abbiamo ricevuto direttive chiare, nemmeno sulle terapie da effettuare. Anche perché in molti casi non sappiamo neppure se il paziente è contagiato o meno dato che i tamponi non vengono effettuati. Addirittura ci sono dei pazienti ai quali non è stato effettuato neppure il secondo tampone, altri che sono risultati positivi ed ora sono in attesa di effettuarlo per sapere se hanno debellato il virus. La responsabilità è stata scaricata su di noi - ha ammonito il dottor Nota - senza la possibilità di fornire cure adeguate ai pazienti, se non l’ossigeno che consente un recupero a soggetti con un quadro clinico non grave. Almeno su questo sin da subito abbiamo avuto la possibilità di intervenire». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino