“Ah, che bell’o cafè...” cantava Fabrizio De Andrè. E noi italiani, che ne siamo affezionati consumatori, sappiamo quanto forte sia il legame tra...
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L’American Heart Association ha curato la pubblicazione sulla rivista Circulation di una ricerca dell’Università di Harvard che si concentrava anzitutto sul dosaggio: è importante non andare oltre le tre-quattro tazzine al giorno, altrimenti si rischia di ottenere effetti opposti, come aumento della pressione arteriosa e dello stress. Un consumo moderato, invece, riduce il rischio di morte dovuta a malattie cardiache, neurologiche e del sangue. Lo studio ha coinvolto ben 200 mila volontari, seguiti per un arco di tempo molto lungo (tre decenni). Ciò che ha subito colpito di questa ricerca è il “mistero” che si cela dietro la correlazione “maggiore durata della vita-consumo di caffè”. Se infatti le ricadute positive sul nostro corpo sono più che evidenti, quello che non si riesce a spiegare scientificamente è il perché di tali benefici.
La tesi viene confermata anche da alcuni studi italiani, che hanno coinvolto – tra i vari atenei – anche l’Università di Milano. Carlo Lavecchia, che vi insegna epidemiologia, ha infatti approfondito il legame speciale che unisce caffè a fegato e ha potuto constatare che il suo consumo aiuta il funzionamento epatico e abbassa del 40 per cento il rischio di ammalarsi di tumore. Ma i benefici sono anche più generali, poiché è il rischio di morte a scendere di circa il cinque-dieci per cento. Come poter spiegare queste proprietà positive? Anzitutto, la presenza di antiossidanti, che contrastano l’invecchiamento delle cellule, e dei lipidi, che favoriscono la corretta funzionalità dell'organo.
Ma, come si diceva, anche il sistema nervoso viene aiutato dal consumo di caffè: il Karolinska Institute di Stoccolma, in collaborazione con l’Università di Berkeley, ha infatti verificato, tramite un’altra ricerca pubblicata lo scorso marzo sul Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry, che l’insorgere di una grave malattia invalidante come la sclerosi multipla scende del 30 per cento in quei pazienti che ne sono abituali bevitori. Nella stessa ricerca, tuttavia, si fa presente che le donne gravide dovrebbero limitarne l’assunzione a una, massimo due tazzine quotidiane, dato che il feto potrebbe subire complicanze, come quella di nascere sottopeso. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino