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Vivere una vita senza zuccheri, specie se si è bambini, si può? Per alcuni non c’è scelta, si deve e basta. Sono i malati di fruttosemia – malattia genetica ereditaria rara che colpisce circa 1 persona ogni 20mila – per i quali fruttosio, saccarosio e sorbitolo costituiscono un veleno. È possibile che però possano, con il trascorrere degli anni, assumere piccole quantità degli zuccheri proibiti senza che questo determini danni alla loro salute? Hanno risposto a questa domanda i maggiori esperti italiani, chiamati a discuterne durante la tavola rotonda «Quale dieta per i bambini con intolleranza ereditaria al fruttosio?», che si è tenuta stamattina nell’Aula Magna della facoltà di biotecnologie, organizzata dall’Associazione Intolleranza Fruttosio (AIF) in collaborazione con Raffaele Iorio, Maria Immacolata Spagnuolo, Fabiola Di Dato e Fabrizia Chiatto, pediatri del D dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II.
«Con il miglioramento delle cure i pazienti stanno bene però non c’è un accordo né italiano né internazionale sulla composizione precisa della dieta da seguire – ha sottolineato Raffele Iorio, pediatra epatologo Federico II - Proprio per migliorare la loro qualità di vita, fermo restando che non devono assumere gli zuccheri proibiti, cerchiamo di capire quale dose possono assumere senza avere danni per la loro salute».
Ma come individuare la malattia nei primi mesi di vita del bambino? Quali sono i campanelli di allarme? Rifiuto di sostanze zuccherate e sintomi post assunzione rilevanti, come vomito, abbattimento, e in alcuni casi anche convulsioni. Succede però che se questi sintomi non si palesano, sia molto più difficile per i genitori intuire quale sia il problema. Come è accaduto a Agata, ricercatrice mamma di Paolo, bimbo fruttesimico. «Non è stata una scoperta semplice - ha raccontato – siamo arrivati al primo anno di vita per la diagnosi. Un giorno mio figlio ha assunto un antibiotico e si è completamente abbattuto, era come se dormisse con gli occhi aperti, non riusciva a svolgere nessuna funzione vitale. Per fortuna qui al Secondo Policlinico hanno subito intutito di cosa di trattasse». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino