«Giorgione a casa tua», lo chef napoletano star tra i venditori di trippa

Il cuoco romano più amato del web arriva a Napoli con un enorme pezzo di lardo

Giorgione sul set
Quando Giorgio Barchiesi, per tutti Giorgione, il cuoco romano più amato del web, entra a casa delle persone ha un'usanza: porta in regalo un enorme pezzo di lardo:...

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Quando Giorgio Barchiesi, per tutti Giorgione, il cuoco romano più amato del web, entra a casa delle persone ha un'usanza: porta in regalo un enorme pezzo di lardo: «Dormo tra due guanciali, ne porto uno in dono», spiega.

Il guanciale è il simbolo della sua cucina generosa e casareccia, così lontana dal registro minimal-trendy di tanta gastronomia modaiola. Regala guanciali anche in questi giorni a Napoli, dove sta girando alcune puntate del format «Giorgione a casa tua» per Gambero Rosso Channel. A 66 anni è la prima volta che cucina in questa città: «Ma la conosco bene da piccolo, papà ci portava in vacanza a Ischia e prima di salpare per l'isola ci portava a vedere le sue bellezze: Napoli sotterranea, le catacombe di San Gennaro». Della cucina partenopea dice: «Al di là dello scontato, della pizza e del ragù, amo che in questa terra si trovino ancora materie prime eccezionali».  

La prima puntata la gira a casa della pittrice e regista teatrale Luisa Corcione, nel centro storico. Fa la spesa nei mercati di Montesanto, dopo aver gustato centopelle e «pere e musso» dai venditori di trippa della zona. Lo saluta chiunque e con chiunque lui si ferma a fare foto; da quando ha accettato di farsi riprendere mentre cucina è diventato una star, milioni di visualizzazioni per ogni video: «All'inizio mi faceva paura. Ora non mi risparmio, se la gente mi ferma distribuisco baci e abbracci».

Per omaggiare la cucina partenopea prepara spaghetti con le vongole e zuppa di pesce in compagnia del cantante lirico Luca De Lorenzo. Tre telecamere puntate su Giorgione, sui suoi vezzi che il pubblico adora: il vecchio Nokia 3310, la salopette (che ha indossato anche sul red carpet del film cui ha partecipato, «Figli» di Giuseppe Bonito con Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi), o quando dice «un nonnulla», che è proprio il contrario dell'abbondanza di olio e grassi delle sue ricette. Il lessico di Giorgione, da «come se piovesse» a «delicious», spopola. Commenta: «Io affabulo, invento. Certi termini il web li ha fatti diventare meme ma non li ho usati con malizia. Amo il lessico composito e se dico reprobo o dirazzato spero di ricordare ai giovani che la nostra è una lingua ricca e affascinante». 

Giorgione sembra un uomo del popolo ma è nato nella Roma bene, in una famiglia dell'alta borghesia. Prima di mettersi ai fornelli è passato per gli studi in Veterinaria e una carriera nella distribuzione alimentare. Sedici anni fa mise su un piccolo ristorante in Umbria, a base di prezzi popolari e piatti gustosi. Un giorno si presentarono gli osservatori di Gambero Rosso e la sua vita cambiò. Oggi di ristoranti ne ha due, con una formula precisa: «Antipasto a buffet, due primi, due secondi e dolci, in tutto 36 euro bevande escluse. Ho prenotazioni fino a luglio», spiega. E una filosofia schietta: «Dico subito al cliente che non è un posto per vegetariani. Chiedo se gli ospiti hanno intolleranze e poi basta, porto ciò che ho preparato quel giorno. Trasparenza, amo le cose chiare». Animalisti e vegani a parte, che sui social lo criticano di continuo, piace tanto. Perché? «Per i bambini sono come un orsacchiotto e per gli anziani un badante. Accontento vari gusti, sono interclassista e intergenerazionale. La verità è che non ho pretese: non sono uno chef ma un cuoco, anzi un oste». Un oste che ama suonare e cantare, soprattutto brani di Lucio Dalla e Bob Dylan, e che i suoi piatti li rivisita di continuo: «Odio i diktat in cucina. Se non riusciamo a rilassarci neanche tra i fornelli è finita», dice. Lo fa con la amatriciana, in cui non ha paura di mettere la cipolla, lo fa con il suo piatto preferito della cucina napoletana: «La genovese non si batte. Io la faccio a modo mio, ma piace molto. Anche ai tanti napoletani che vengono a mangiare da me». 

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Il Mattino