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È una storia d'amore quella del Mattino per la pizza napoletana. Un amore difficile, visto che Matilde Serao non ha mai speso parole lusinghiere per le pizze della sua epoca, quelle che, secondo alcuni passatisti delle farine non raffinate, sarebbe il modello da seguire oggi. Ma è l'amore viscerale di chi vive e lavora a Napoli, soprattutto quando si esercita un mestiere come il nostro, un tempo senza orari, che trasformava la redazione nella nostra vera casa. E allora via alle pizze a tutte le ore, dallo spacco alle lunghe notti insonni elettorali o per qualche grave emergenza, quando il direttore di turno verso mezzanotte faceva telefonare al ristorante Da Umberto e il profumo delle pizze, ben diverso da quello del pane, saliva con le due ascensori e riempiva la tipografia e le redazioni.
Proprio sotto la nostra sede di via Chiatamone abbiamo potuto registrare la rivoluzione del mondo pizza: da un solo indirizzo siamo passati a due escludendo Marino ed Ettore a Santa Lucia, troppo lontani per averle calde. Poi ha aperto Fresco e saliva il cavalier Forgione a portarle di persona, sempre con qualche fritto di accompagnamento. E poi ancora Sorbillo con Lievito Madre e, negli ultimi tempi, la Masardona e Vincenzo Capuano a Piazza Vittoria. E, ancora, Rossopomodoro, Cantanapoli e tante altre. Insomma l'imbarazzo della scelta.
E mentre si lavorava mangiando pizze, si è cominciato a scriverne, prima timidamente perché considerato un argomento residuale nella economia degli spazi del quotidiano, poi sempre più intensamente per raccontare la rivoluzione degli impasti iniziata da Coccia e proseguita con Ciro Salvo, quella della mediale e sui social di Gino Sorbillo, in prima linea quando è iniziata la campagna contro la pizza napoletana, seguita a quella contro la mozzarella, quasi a dire che a Napoli la pizza non si sapeva fare. In prima linea del sostenere l'Associazione Pizzajoli Napoletani di Miccu, l'Associazione Verace Pizza di Antonio Pace, la Coldiretti e la Cna nella battaglia epocale culminata nel 2017 con il riconoscimento Unesco dell'Arte del Pizzaiolo Napoletano come patrimonio immateriale dell'Umanità, una mazzata culturale enorme a chi sosteneva l'esistenza di una pizza italiana di cui quella partenopea sarebbe stata solo una articolazione regionale.
La pizza napoletana, anche grazie alla lungimiranza del Mulino Caputo che ha sposato l'identità di Napoli come principale messaggio commerciale negli Usa, in Giappone e nel resto del mondo, ha conosciuto una espansione senza precedenti, al punto di poter dire che una buona pizza si può finalmente mangiare ovunque.
Il libro che trovate in edicola (3,80 euro, 246 pagine) fotografa l'attuale stato dell'arte di un settore che gode di ottima salute, favorito un po' dalla crisi economica, ma soprattutto dal miglioramento costante della qualità dell'offerta e dalla rivoluzione del concetto stesso di pizzeria che è diventata un luogo di scoperta gastronomica come forse neanche nei ristoranti è possibile. 200 indirizzi da non perdere, con tutte le informazioni utili per mangiare la pizza a Napoli e Campania. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino