Alessandra Appiano, la lettera del marito: «Era una donna buona». La malattia e la tragica fuga

Alessandra Appiano, la lettera del marito: «Era una donna buona». La malattia e la tragica fuga
Alessandra Appiano è morta lo scorso 3 giugno a 59 anni. Si è probabilmente tolta la vita, per colpa di un male oscuro che le ha rovinato l’ultima parte della...

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Alessandra Appiano è morta lo scorso 3 giugno a 59 anni. Si è probabilmente tolta la vita, per colpa di un male oscuro che le ha rovinato l’ultima parte della vita, e che ha lasciato sgomente le persone a lei più vicine. Il marito, il giornalista del Fatto Quotidiano Nanni Delbecchi, le ha dedicato una lettera aperta, a rendere omaggio alla scrittrice e volto televisivo, già vincitrice del premio Bancarella.


L’ipotesi di un gesto volontario ha scatenato i commenti sui social, ed è proprio per questo che Delbecchi ha deciso di scrivere questa lettera. «Tra i lettori di queste righe ce ne saranno alcuni che conobbero Alessandra, ed è verosimile che sviluppino riflessioni più o meno analoghe. Ma quelli che non la conobbero, vorrei che avessero di lei l’immagine più semplice che io ne porto nel cuore: era una donna buona».



«Mia moglie è soggiaciuta al raptus di un disturbo manifestatosi in modo oscuro e quasi metafisico, un maleficio che non le ha lasciato scampo nonostante i diversi tentativi di cura - le sue parole, 11 giorni dopo la morte - Alessandra era una sorgente infaticabile di luce ed energia non solo per me ma anche per i nostri tanti amici. È stata la donna più attenta alla propria salute che abbia mai conosciuto, dedita alla propria cura e al proprio aspetto».

«Aveva le sue tristezze e le sue malinconie - continua - Era un’artista vera, duplice anche nel suo lavoro, capace di tormentarsi per tre mesi sul ‘non ho più niente da dire’ e poi di buttar giù di getto un romanzo nei tre mesi successivi. Aveva i suoi momenti di crisi, ma quale persona intelligente e sensibile non ne ha?». La malattia è arrivata in tempi recenti: «In cinquanta giorni è cambiato tutto», ammette Delbecchi.


«Tutto si è rivelato inutile, un calvario da uno specialista all’altro, fino alla decisione del ricovero per scongiurare qualsiasi gesto estremo. Ma la mattina del 3 giugno, da quel luogo che doveva curarla e proteggerla è potuta fuggire, vagare indisturbata per i deserti vialoni della periferia fino a raggiungere uno dei tanti anonimi grattacieli milanesi, sede di un hotel. Dalla terrazza dell’ottavo piano ha guardato per l’ultima volta quella città che amava tanto». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino