Birkenstock ad Arnault: la rivincita dei sandali tedeschi brutti ma d'alta moda

Birkenstock ad Arnault: la rivincita dei sandali tedeschi brutti ma d'alta moda
Povere ma brutte, le Birkenstock sono la prova che esiste un capriccioso dio delle scarpe che stabilisce per decreto quale sarà la prossima ossessione femminile. Da un...

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Povere ma brutte, le Birkenstock sono la prova che esiste un capriccioso dio delle scarpe che stabilisce per decreto quale sarà la prossima ossessione femminile. Da un certo punto in poi, l'ombelico del mondo sono diventate le suole di sughero guarnite da fasce di cuoio, infradito o con le fibbie, le stesse che imperversavano ai piedi degli hippie anni Sessanta ma che a noi italiani, che per decenni abbiamo scherzato sui calzini bianchi dentro sandali tedeschi, facevano quasi ribrezzo.

Ebbene siamo costretti a ricrederci. Oggi il fashionista più testardo ed entusiasta non può proprio fare a meno del sandalone teutonico dell'azienda di Neustadt, fondata nel lontano 1774 in una cittadina dell'Assia dal ciabattino Johann Adam Birkenstock. Dopo aver triplicato le vendite negli ultimi anni, il gruppo faceva gola a molti. A spuntarla è stato il solito Bernard Arnault, attraverso l'investitore franco-americano L Catterton. Il suo polo del lusso francese LVMH ha annunciato l'acquisizione della maggioranza dell'azienda tedesca, un'operazione da quattro miliardi per un prodotto sportswear che è un accessorio funzionale, ma di scarso glamour. Oppure no? Complice la tendenza pandemica alla comodità casalinga e gli ammiccamenti al casual degli stilisti più attenti al sociale, le Birkenstock si sono trasformate in vere icone di stile, tanto da aver calcato persino il red carpet degli Oscar 2019, quando l'attrice Frances McDormand è salita a ricevere la statuetta con un paio di sandali Arizona Birkenstock firmati Valentino. 

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Che fossero diventate scarpe cult l'avevamo capito da prima, da quando le dive a passeggio, quelle ecologicamente corrette come Gwyneth Paltrow e Uma Thurman, ma anche le modaiole assatanate del tacco dodici come Sarah Jessica Parker, venivano paparazzate sorridenti e felici con le Birkenstock ai piedi. Ancora prima, era il 1990, una magnifica foto di Kate Moss, sigaretta e maglione lungo sul bikini, celebrava la trasgressività del sandalaccio. Da noi è stata Chiara Ferragni a rilanciare il plantare unisex, e dietro di lei naturalmente tutte le influencer sono andate in deliquio, tessendo l'elogio del ciabattone ortopedico.

Abitini a fiori, shorts, salopette e jeans sdruciti al polpaccio sembrano ideali per il look Birkenstock «sono una donna come tante», ma c'è anche chi le indossa con abiti da sera. C'è persino una data precisa di questo sdoganamento elegante, è il 2012, quando per la prima volta, firmate da Phoebe Philo, nella sfilata di Céline comparvero un paio di Arizona nere con il plantare ricoperto di visone. E subito fecero impazzire Miley Cyrus, che ne scelse una versione ingioiellata. Poi arrivarono le collaborazioni con Paco Rabanne, la capsule collection con Rick Owens e il menswear di Valentino. Anche i marchi di calzature più cool (Manolo Blahnik, Roger Vivier, Isabel Marant) hanno presentato alcune versioni luxury del sandalo. 

Quanto a funzionalità non sappiamo, la comodità sembra comunque assicurata. Del resto, lo stile di vita sano e naturale e l'ambientalismo sono parte dello spirito dell'azienda, che dice di aver sempre puntato su qualità e benessere anziché sui grandi loghi a prezzi esagerati. Su questa direttrice, ancora prima dell'accordo annunciato ieri Birkenstock ha creato una linea di letti e una di cosmetici in cui viene usato anche l'estratto di sughero uguale a quello delle scarpe. 

È la rivincita dei brutti, è il trionfo del'antiestetico che diventa cool. Questo lo diciamo noi, le riviste di moda lo chiamano ugly chic e ne decantano il valore ambientale e sociale. O forse è solo cambiato l'ideale di bellezza. Oliver Reichert, l'amministratore delegato del gruppo che ha fornito tutti i dettagli dell'operazione (un fatturato di 700 milioni di euro, 4300 dipendenti, 24 milioni di scarpe vendute nel 2019), parla infatti di una svolta moda che ha ancora un grande potenziale di crescita. Non stentiamo a crederlo visto le cinquanta maison del lusso disponibili nel portafoglio LVMH (da Vuitton a Dior a Fendi a Givenchy). E Arnault non ha fatto mistero della sua intenzione di puntare soprattutto al ricco mercato asiatico. 

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Il Mattino