Il nome della malattia rara di cui è affetto il fratello non è una sua scoperta, ma Claudia ha seguito molto da vicino le varie fasi della ricerca che ha portato a...
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Quattro anni più piccolo della sorella, Davide è stato condannato a una vita difficile ancora prima di venire alla luce: «Già in gravidanza s'intravedeva una dilatazione cerebrale diagnosticata con varie ecografie e che era stata considerata segno d’idrocefalia (una malformazione del cervello, ndr) – spiega Claudia –. Infatti, alla nascita il cranio era più grande della norma e Davide presentava anche una polidattilia bilaterale (presenza di un sesto dito per entrambe le mani, ndr), per la quale sono successivamente intervenuti chirurgicamente. Inoltre, ha avuto sin dai primi tempi crisi epilettiche».
Un quadro clinico complicato, una malattia le cui cause erano sconosciute e che la letteratura scientifica aveva descritto solo in 14 casi: «La MPPH, Megalencefalia-polimicrogiria-polidattilia-idrocefalo, è una malattia rarissima. Ora sappiamo che la mutazione causativa della patologia cade nel gene CCND2 – spiega ancora Claudia –. Essa comporta un grave ritardo fisico, che consiste nell’incapacità di reggere il capo e il busto, disabilità cognitive e intellettuali, quindi difficoltà nell’espressione, deficit visivo, riduzione del tono muscolare, macrocrania (una circonferenza del cranio superiore alla norma), e crisi epilettiche, presenti ancora oggi, che sono farmaco-resistenti».
Una diagnosi, quella descritta dalla giovane studentessa napoletana, a cui i ricercatori del Tigem sono arrivati da poco, dando una risposta a 20 anni di domande e sofferenze: «Il percorso che ci ha portati alla diagnosi è composto di una serie di opportunità e casualità, che si sono incastrate alla perfezione fino all’ottenimento del nome della malattia di Davide, che finalmente dopo 20 anni di attesa, tre settimane fa è venuto fuori. Abbiamo ottenuto la diagnosi grazie al lavoro prezioso del professor Nicola Brunetti-Pierri e della dottoressa Gerarda Cappuccio, dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, nonché ricercatori Tigem. In seguito a una serie di anomalie evidenziate dalla risonanza magnetica cerebrale, hanno selezionato un gruppo di geni associati a malformazioni cerebrali da sequenziare, ed è venuto fuori il nostro gene mutato CCND2».
Claudia parla come se anche lei facesse parte del team di ricercatori che ha ottenuto questo risultato, ma lei ha potuto solo seguire il loro lavoro dall’esterno, limitandosi a fare il tifo. In realtà, la tesi di laurea a cui sta lavorando si occupa d’altro: «Sono nel gruppo della professoressa Brunella Franco, che al Tgem studia i meccanismi alla base di un’altra malattia genetica rara: la sindrome Oro-facio-digitale di tipo 1 (OFD1 Syndrome)». Ma per lei, che con la sua famiglia ha sempre sostenuto Telethon, la fondazione che finanzia l’istituto di ricerca, essere lì è stato il coronamento di un sogno: «Prima di essere tesista al Tigem, io sono volontaria Telethon, che supportiamo da molti anni, perché per noi, così come per tutte le altre famiglie che abbiamo conosciuto, è speranza di una diagnosi e di una cura. Quindi, quando sono entrata come tesista al Tigem è stato come il raggiungimento di un primo obiettivo. Volevo a tutti i costi fare un’esperienza lì e ci sono riuscita».
E ora che è giunta quasi alla fine del suo percorso di studi, il futuro di Claudia, anche se è ancora incerto, dovrebbe gravitare ancora intorno a un laboratorio di ricerca: «Non so cosa mi riserva il futuro, mi piacerebbe sicuramente lavorare in ambito della diagnosi genetica, perché ho visto in prima persona quanto sia brutto dover lottare senza conoscere il proprio nemico, restare in attesa di risposte che non arrivano, fino a quasi perdere le speranze». Comunque vada, la strada intrapresa finora le ha lasciato almeno una consapevolezza: «Non bisogna sottovalutare le malattie genetiche rare, perché sono rare solo se prese singolarmente. “Raro non significa lontano da me” è la frase che ripeto sempre quando devo rivolgermi a chi pensa che queste malattie possano essere ignorate». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino