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«Preferisco non dire gli anni. Nella mentalità del Sud si pensa erroneamente che, superata una certa età, uno non sia più buono a lavorare». A Umberto Pintore, nativo della Riviera di Chiaia, a forza di stare piegato sul tavolo da lavoro è venuta una piccola gobba: a tratti ricorda Don Rafaniello, l'indimenticabile personaggio misterico in Montedidio di Erri De Luca. Dal 1970 ha un piccolo laboratorio in via Egiziaca a Pizzofalcone. Immerso com'è nella creazione, non alza la testa dalla fiamma neanche un secondo mentre racconta la sua storia. Diversi i nomi con cui si definisce la sua arte: «soffiatore», «sagomatore di lettere luminose», «neonista».
Pintore è un Prometeo post moderno: bizzarro corto circuito tra l'immagine dei soffiatori di vetro del presepe partenopeo delle origini (che evoca) e gli irresistibili colori fluo anni Ottanta dei tubi al neon che affollano la sua bottega. «Facevo l'ottico. Un giorno accompagnai mio fratello in una fabbrica di insegne luminose. Era in via Monte di Dio n.1. Me ne innamorai all'istante. Avevo 18 anni, forse un po' tardi per imparare. Parlammo col proprietario. Mi disse: Scendi il prossimo lunedì».
Da allora Pintore di lettere luminose ne ha fatte a migliaia. Per negozi, attività, appartamenti, soprattutto gallerie d'arte. Ha lavorato per artisti come Joseph Kosuth, per galleristi come Lia Rumma. A Napoli molte istallazioni luminose portano la sua firma. Una su tutte: il vortice blu stellare e ammaliante di Mario Merz sul soffitto della stazione della metropolitana di Piazza Vanvitelli.
«L'arte dei neon avrà almeno 150 anni, dicono sia nata in Cina.
«I vetri vengono da Murano. Il tubo dentro è vuoto: se non si soffia, le pareti aderiscono l'una con l'altra». Ogni scritta ha il suo font. Quando gli si chiede quanto ci vuole a farne una risponde metodico: «Può volerci anche una settimana. Io la faccio guardando il disegno. Per questo ho la cervicale. A forza di stare abbassato. Il dottore l'ha chiamata postura di lavoro...».
Pintore ha viaggiato in tutto il mondo, anche per le mostre di sua moglie, la pittrice Consilia Pellegrino. «Quando imparai, iniziai a andare via da Napoli per acquisire più esperienza». Negli anni è divenuto il braccio di artisti di ogni calibro e provenienza: loro disegnano, lui esegue, come nel caso di alcune opere di Antiquitas in luce, personale del losangelino Leddie John Dill al Museo archeologico nazionale nel 2017. «Hanno inventato i led, ma io non ho mai smesso di lavorare. Il led è una cosa, il neon un'altra. E ancora un'altra cosa è il neon industriale. Il mio si può ricaricare: si sostituiscono gli elettrodi e può durare anche un'eternità».
Nonostante il neon sia oggetto di design ricercatissimo la maggior parte dei clienti di Pintore sono facoltosi privati di nuovi «soffiatori» non si vede neanche l'ombra, anzi: «C'era un certo Gennaro Castaldo, napoletano che stava a Milano. Da quando ha chiuso, molti vengono da me ma non riesco a accontentare tutti». Così dice Umberto Pintore nel suo antro di alambicchi e vetri colorati, ultimo alchimista della Napoli greca di Pizzofalcone, detentore della sacra fiamma di aria compressa e gas.
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