«Sono un attore. Un artista senza progetto. Sempre pronto a farsi piacere le idee degli altri, a contenersi, ad annullare la propria intelligenza davanti al regista per non...
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Orlando parla anche di Napoli, dove è nato: «Una città tragica che ha la dannazione di doversi tenere in piedi ogni santo giorno e nella quale ironia e teatralità servono a sopravvivere e a non impazzire», forse per mestiere, lui vive da molti anni - apolide e marziano - a Roma «sono ancora in affitto» e potrebbe star bene in molti luoghi e da nessuna parte: «Sono cresciuto nello stesso quartiere di Paolo Sorrentino, al Vomero, il luogo in cui l'alta borghesia napoletana andava storicamente in villeggiatura. Il sogno della piccola borghesia era liberarsi delle case fatiscenti del centro storico per avere abitazioni eleganti e impersonali con il marmo nei bagni, nell'assoluto vuoto di relazioni umane di un quartiere venuto su in fretta, al ritmo febbrile dei primi anni 60. In questo esilio forzato e in questa negazione della bellezza in nome della comodità, non avvertire lo sradicamento è difficile».
Orlando lo ha avvertito:«In modo fortissimo. Quando parli di Napoli, parli di odori, rumori, volti e voci che nella testa delle persone rappresentano qualcosa di molto preciso. Da quel mondo io ero stato strappato a quattro anni per emigrare in alto, al Vomero, la Collina Fleming della mia città. Un posto in cui sentire di avere delle radici per me è impossibile».
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Il Mattino