Versace nella bufera in Cina per una t-shirt: la maison chiede scusa e distrugge i capi

Versace nella bufera in Cina per una t-shirt accusata nientemeno di attentare alla sovranità nazionale. Dopo il celebre caso di Dolce e Gabbana ecco che in cina deflagra la...

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Versace nella bufera in Cina per una t-shirt accusata nientemeno di attentare alla sovranità nazionale. Dopo il celebre caso di Dolce e Gabbana ecco che in cina deflagra la nuova polemica per una maglietta venduta da Versace nel Paese dove apparivano nomi di città con la nazione di appartenenza sbagliata, in particolare non venivano elencate Hong Kong e Macao come parte della Cina. «Mi dispiace profondamente per lo sfortunato errore - scrive Donatella Versace su Fb -. Non ho mai voluto mancare di rispetto alla sovranità Nazionale della Cina».


Nella maglietta di Versace erano stampati i nomi di varie città, tra cui capitali e altre grandi città europee e americane, con accanto la loro nazione di appartenenza. Macao e Hong Kong erano però indicati come stati indipendenti, nonostante alla fine degli anni '90 le ex colonie europee siano tornate alla Cina. Dopo la rivolta sui social, l'attrice cinese Yang Mi ha deciso di interrompere la cooperazione con Versace, accusando la casa di moda di voler attentare all'integrità nazionale. Versace ha fatto sapere di aver ritirato le magliette dai negozi il 24 luglio scorso e di averle poi distrutte.


«Mi dispiace profondamente per lo sfortunato recente errore che è stato fatto dalla nostra azienda e che è attualmente in discussione su vari social media - scrive Donatella Versace sul profilo Facebook dell'azienda -. Non ho mai voluto mancare di rispetto alla sovranità Nazionale della Cina ed è per questo che ho voluto chiedere personalmente scusa per tale imprecisione e per ogni problema causato».

L'azienda, inoltre, fa sapere che sta verificando «le azioni per migliorare il modo in cui operiamo giorno dopo giorno per diventare sempre più coscienziosi e consapevoli». Lo scorso autunno Dolce e Gabbana erano finiti nella bufera in Cina per uno spot ritenuto offensivo, che aveva portato alle scuse dell'azienda e all'annullamento di alcune sfilate.

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Il Mattino