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Peppe aveva otto anni, oggi ne ha sessantuno. Si mise a comporre cornici nel laboratorio oltre l'arco bianco, mentre il suo datore di lavoro accoglieva gli artisti. «Chiamate il caffè». Componendo il numero di telefono, l'artigiano ricorda quando si ritrovò a versarlo a Lucio Amelio. «Ero uno scugnizzo e tutto così straordinario», sorride il decimo di quindici figli allevati sulle scale della Pedamentina. «Fu un evento anche la prima volta che andai al mare, alla Colonna spezzata, immergendomi a mezzo busto per arrivare fin sugli scogli. E un altro evento fu raggiungere Posillipo. E poi Bacoli». Adesso è lui a confrontarsi con pittori e professori, con una semplicità mai scalfita dal tempo e tale da permettere il dialogo per ore. L'atmosfera è quella di allora: l'insegna conserva il nome di Antonio Caiafa, tra fogli e legni calendari ingialliti sono appesi, immagini di santi, Padre Pio e Moscati, papa Francesco, la Madonna del Rosario, figli e nipotini, la squadra dei calciatori. Due dediche vicino all'Asinello sono esposte: «Una l'ha firmata di sera, tramite una amica, donna di pulizie nell'hotel; un'altra sempre Maradona più lucido di mattina».
Lì accanto si riconosce un'opera di Bianco-Valente, le foto di Cesare Accetta e Fabio Donato, il codice di Renato Barisani o di Mario Persico, un attestato di stima di Giulio Paolini e dall'ingresso non è difficile vedere entrare volti noti.
Il Mattino