Il messaggio rimbalza da una chat all'altra, corre su WhatsApp. A scrivere è un papà napoletano con la passione per il rugby che va ad acquistare le figurine in...
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Si comincia con frasi semplici: da un mese Roberto Riccio lavora innanzitutto su se stesso. Ogni mattina, alle 9.30 (se non ha la febbre come a inizio febbraio), il ragazzo, da solo, attraversa la strada, risale via Piave e si siede al posto «suo». Saluta, stringe mani, vende giornali, conta il resto, a volte si confonde, sorride. «È il modo per presentarlo al quartiere perché possa vivere qui e sia riconosciuto», dice il padre Giancarlo Riccio, 54enne. È un ex dirigente, oggi consulente di una multinazionale, in giro per il mondo con l'obiettivo di far crescere le imprese, pronto a investire sotto casa per far guadagnare al suo secondogenito una maggiore autonomia. «E la gente risponde con gentilezza anziché scappare», aggiunge emozionata Michela, 25 anni, quattro esami dalla laurea in psicologia ma già impiegata come terapista comportamentale. La sorella di Roberto spiega che l'impresa ovviamente costa fatica. Molta fatica, oltre a essere a incasso zero. «Ma l'impegno è ripagato dai miglioramenti che già si notano nelle relazioni». E i cambiamenti avvengono giorno dopo giorno (o meglio, giornale dopo giornale).
«La diagnosi è arrivata una settimana dopo l'iscrizione all'asilo», racconta Titti Di Marino, l'infermiera professionale diventata «infermiera privata» per necessità e amore. «Secondo la maestra, il mio bambino era un vegetale perché non soffriva l'abbandono e non interagiva con i compagni. E, in effetti, era così».
Ora Roberto sa leggere, suona nel gruppo musicale della parrocchia, va a messa senza i genitori («E, una volta, ha anche interrotto l'omelia...»), cucina ottimi dolci e il pranzo al papà, quando la madre è fuori casa. Merito degli studi completati all'istituto alberghiero e del tirocinio seguito al Convento dei Camaldoli. «Solo che più cresce e più è difficile creare legami. Lui non ha amici, a parte uno a pagamento», spiega Titti, mentre il ventenne continua l'attività. A mezzogiorno arrivano, nell'ordine: una donna con il passeggino, tre anziani, due consiglieri della decima Municipalità, una signora assieme al suo ragazzo altrettanto speciale. Parcheggia un altro cliente ed entra nella comunità d'affetti. «Gli portano il tea, quando fa freddo», interviene Giancarlo, che racconta volentieri questa storia con la speranza che sia d'aiuto ad altri ma senza poter dare soluzioni. «La vera forza è l'unione familiare», afferma con entusiasmo. «Quando arrivano certe mazzate, perché sono mazzate», avverte sua moglie, «ci sono solo due possibilità: dimostrarsi compatti o frantumarsi, a volte anche restando insieme per ipocrisia ma, dentro, si avverte comunque la frattura». Nel primo caso, su dolore e rabbia prevale invece il bene. Un affetto consolidato, quello tra i coniugi Riccio che si sono conosciuti da giovani, non lontano da qui, alla fermata dell'autobus. «Ma lui era un po' scostumato: non mi salutava, quando arrivava in ritardo e saliva rapidamente sul pullman», lo canzona ancora Di Marino. Tre anni di fidanzamento, in sequenza: il matrimonio e la gioia della nascita di Michela e Roberto. Per poi «fare a botte» con l'autismo. Ma con intelligenza: per affrontare una patologia tanto complessa, la coppia va da 15 anni in psicoterapia, e il ragazzo è seguito da un pool di esperti. Un medico di Huston (in videoconferenza), la psicologa e logopedista Alba Cirillo e la psicoterapeuta Francesca Verdelli. Tutti favorevoli ad avviare quest'iniziativa. Per aprire una finestra sul mondo. Anzi, un'edicola nel mondo. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino