Achille Lauro: «Il mio sambatrap è un elogio dell'ambiguità»

Rap e trap, certo, ma volete mettere quando l'hip hop si brasilianizza? È la tendenza lanciata da Achille Lauro (antifascisti e nostalgici del Comandante possono...

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Rap e trap, certo, ma volete mettere quando l'hip hop si brasilianizza? È la tendenza lanciata da Achille Lauro (antifascisti e nostalgici del Comandante possono restare tranquilli, si tratta di un rapper veronese a Roma, classe 1990, all'anagrafe Lauro De Marinis) con il suo quarto album, «Pour l'amour», ancora una volta diviso con il fedele producer Boss Doms: sin dal primo singolo, «Ammo'», sfornato con la complicità di Clementino e Rocco Hunt (e di un videoclip girato in piazza del Plebiscito), l'idea - sembrerebbe vincente - è quella di iniettare di samba il panorama sonico ormai mainstream del trap: «Mi piace dettare le tendenze, non seguirle», spiega lui, che nel disco si diverte a misurarsi anche con collaboratori inattesi come quello con Cosmo in «Angelo blu» («in partenza ci univa l'elettronica e la curiosità, in arrivo il divertimento provato nel mettere insieme il pezzo«), oltre che con Gow Trive («Roba francese») Vins, e gli amici Gemitaiz, Quentin40 e Puritano per «Thoiry rmx» e «Purple rain», che è un «omaggio a Prince, ma anche a Carlos Santana, partendo dalla sua ”''Maria Maria”»


«Canto il successo e il suo prezzo, gli amici, che a volte ti fanno anche da genitori, e gli amori», spiega il rapper, che non disdegna gli abiti da trapper, ma vorrebbe essere libero di sperimentare ancora di più: «Ci siamo rinchiusi in un villone per tre mesi con 15 persone, 10 chili di marijuana e invitando chi ci veniva in mente, saranno passati a trovarci almeno 150 persone: abbiamo pronte canzoni per tre album, la trilogia è appena iniziata, dopo il funk carioca e il sambatrap chissà che cosa verrà fuori». Intanto, sin dalla copertina del disco ispirata a «Velvet goldmine», Achille Lauro (e no, l'armatore editore napoletano proprio non c'entra) abbatte lo sterotipo macho-sessista e omofobo di cui è stato prigioniero finora il rap anche in Italia: «Siamo i nuovi David Bowie, almeno nel senso che giochiamo sull'ambiguità sessuale, sarebbe presuntuoso azzardare paragoni artistici. Dentro di noi c'è un po' di donna e un po' di uomo, è questo il bello».


Il successo dell'hip hop italiano non gli monta la testa: «A me va bene, e a molti altri pure, quelli brani e pure quelli incapaci. Ma è difficile dire quanto durerà, dove sarò io tra cinque, ma anche solo tra tre anni. Per questo nel buen retiro dove abbiamo preparato l'album ci siamo rifugiati nel passato, abbiamo iniziato un ritorno al futuro che ci ha condotto sino all'anno di grazia 1969: il domani riparte da ieri, il futuro è un viaggio nel già visto, ascoltato e vissuto, pronto a vestirsi di nuovo», conclude.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino