Come sfida, per una band rock, o pop che dir si voglia, è suggestiva, ma anche rischiosa. Quasi al termine del tour di «L’amore e la violenza 2», i...
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Com’è nata l’idea, Francesco Bianconi?
«Ci hanno proposto quest’incontro e ci ha incuriosito, è un’esperienza mai affrontata, forse neanche mai immaginata da noi tre e, proprio per questo, ci incuriosisce».
Ma quanto spazio c’è per il jazz nelle tessiture dei Baustelle?
«Non lo so, abbiamo scelto alcune canzoni che stiamo suonando con gusto in questa stagione, ne abbiamo affidato gli arrangiamenti a Raja e stabilito lo spazio per le improvvisazioni dei solisti. Ci siamo aperti, insomma, ma solo al momento delle prove, che si faranno il giorno prima dello show, capiremo che cosa abbiamo combinato, che suono viene fuori dall’incontro con la Onj».
Ma che rapporti hai tu con il jazz?
«Non amo i virtuosismi fine a se stessi, gli assoli che strappano applausi ma non aggiungono sviluppo al tema da cui partono. Le mie passioni jazzistiche sono variegate, amo Duke Ellington, un grande compositore, ma anche Miles Davis, il signore dell’improvvisazione: “Bitches brew” è tra i miei dischi preferiti in assoluto».
Si mormora che l’incontro di Avella possa suggerire a Rachele Bastreghi anche un blitz in napoletano, magari «Canzone appassiunata»?
«Diciamo che ho sentito anche io questo mormorio, ma dipende davvero da come andranno le prove, da che intesa raggiungeremo».
E poi? Che cosa faranno i Baustelle?
«Dobbiamo fare ancora un concerto speciale a Torino, poi mettiamo fine all’avventura di questi ultimi anni. Durante il tour del primo “L’amore e la violenza” abbiamo scritto i brani del secondo volume, poi è arrivato il nuovo giro di live, che non ci ha lasciato tempo/voglia per buttare giù niente. Per cui ora non è che spariamo, che smettiamo di esistere, che ce ne andiamo in vacanza, ma mettiamo mano all’attività più importante per noi, quella creativa, quella fase in cui non c’è un termine prefissato, una road map, un itinerario da seguire, in cui cerchi idee, suoni, spunti. Una cosa, però, la so».
Quale?
«Se dovessi fare un disco ora non lo farei pop come gli ultimi due».
E in che direzione andresti, invece?
«Questo non lo so ancora, guardo con attenzione all’esperimento con l’orchestra jazz anche per questo. Quando ti fermi, quando scendi dalla giostra, quando hai più tempo per leggere, ascoltare, cercare di capire, hai la possibilità di scegliere più direzioni, di seguirle, di tornare indietro: cerchi la tua strada, poi verrà il momento di seguirla davvero, di compierla fino alla meta, o almeno fino a dove puoi arrivare. Ecco oggi sento la voglia di cambiare rotta, suono, mood. Poi vedremo che rotta, suono, mood adotteremo. E se il jazz ne farà parte, o sarà stata solo un’esperienza in più». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino