Il ritorno di Bryan Adams: «Il mondo ha ancora bisogno di rock and roll»

Il ritorno di Bryan Adams: «Il mondo ha ancora bisogno di rock and roll»
La fede di Bryan Adams nel rock and roll, anche alla «veneranda età di 62 anni», sta tutta nel suono, e nel testo, di «Kick ass», introdotta dalla...

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La fede di Bryan Adams nel rock and roll, anche alla «veneranda età di 62 anni», sta tutta nel suono, e nel testo, di «Kick ass», introdotta dalla voce di John Cleese: Dio creò il mondo, racconta il mitico fondatore dei Monty Phyton, ma si accorse che «c'era qualcosa che non andava, qualcosa che mancava». «Non c'era musica rock», canta l'uomo di Kingston, Ontario, «così ha mandato un angelo/ e dalla nebbia venne quell'angelo/ indossava stivali, blue jeans/ e un cappellino da baseball/ ... Quant'è figo?/ Poi tutto il mondo tacque e guardò in alto/ perché tutti volevano sentire cosa aveva da dire./ E dopo un momento di silenzio, disse:/ sia la chitarra/ la batteria/ il basso/ il pianoforte./ Lascia che ci sia una band rock impazzita/ andiamo».

Davvero, Bryan, abbiamo ancora così bisogno del rock and roll?
«Sì, oggi c'è la guerra in Ucraina, e temiamo per quel popolo, ma c'è stata la guerra in Siria, la crisi con l'Iraq, l'esodo dei rifugiati.... I musicisti non possono che continuare a creare, a rockare e rollare. Non credo che il rock sia mai stato così necessario come adesso».

Il suo album appena uscito, «So happy it hurts», è il quindicesimo di una carriera da oltre cento milioni di dischi venduti, grazie a hit come «Cuts like a knife», «Run to you», «Summer of 69», «It's only love», «Heaven», «(Everything I do) I do it for you», «All for love», «Have you ever really loved a woman», «Can't stop this thing we started», «I finally found someone», «Here I am»...
«Era pronto da un anno, l'ho scritto durante il primo lockdown e inciso tutto da solo, in clausura, imparando anche a suonare quegli strumenti che non conoscevo, come la batteria, coproducendolo con Robert John Mutt Lange».

Perchè, allora, è uscito solo adesso?
«Visto che i vinili stavano tornando di moda volevamo essere pronti per questo mercato, ma abbiamo faticato a trovare chi ce li stampasse: diciamo che la colpa del ritardo è stata tutta di Adele, che ha monopolizzato le fabbriche. La musica, il r'n'r in particolare, è qui per risollevare l'animo umano, io lo faccio innanzitutto per risollevare me stesso, e spero di riuscire ancora a risollevare anche chi mi ascolta, Me la cavo ancora, nonostante tutte le difficoltà».

Grandi chitarre, solido mainstream rock spruzzato di pop, un tocco country, un pensiero a Buddy Holly, le immancabili ballate come «Always have, always will»: «Sono così felice che fa male», spiega la canzone del titolo dando il senso a un disco solare, da utilizzare come un esorcismo in questi tempi.
«Mi sento più che mai padrone della mia vita e della mia carriera. Sarà per la mia nuova famiglia, sarà per la mia nuova etichetta, la Polydor, sarà effetto dell'età, ma la musica mi viene spontanea. Questo è il senso del mio mestiere: devi essere ispirato, solo allora funziona».

In America e nel suo Canada il rock è sempre stato di casa, ma in Europa, in Italia in modo particolare, sembrava ormai fuori di moda. Poi sono arrivati i Maneskin: è cambiata l'onda? Che pubblico si aspetta in Italia a dicembre quando il tour la porterà il 5 a Conegliano (Tv), la sera dopo al palazzo dello sport di Roma e l'8 al Mandela Forum di Firenze?
«I Maneskin sono grandi. Le giovani band hanno la responsabilità di rockare e rollare, all'inizio funzioneranno magari per l'immagine e il look, ma poi conterà solo la musica, le canzoni. E, vedendo le prevendite dei miei show, sembra che l'Italia abbia grande voglia di rock and roll. Le radio da voi non mi hanno mai aiutato, non suonano molto rock, per fortuna che ormai c'è il web».

Ha ricantato la colonna sonora del suo musical «Pretty woman», appena andato in scena a Milano.
«Sì. Nel 2008/9 uscivo con una ballerina del West End che mi disse: Sarebbe bellissimo se qualcuno trasformasse il film di Garry Marshall con Julia Roberts e Richard Gere in un musical. Mi sembrò una buona idea, ne parlai con la Disney, ma non se ne fece nulla. Poi nel 2016 Rob Roth, il regista di La Bella e la Bestia versione musical, mi disse che mi sarei dovuto impegnare nel campo ed io gli risposi che ci avevo provato, ma... Lui mi portò da un produttore e... Eccoci qui».

Nello scorso novembre stava per presentare il suo calendario Pirelli 2022, per secondo mestiere fa il fotografo di ritratti di moda, quando scoprì a Malpensa di avere il Covid.


«Una faccenda stupida e sfortunata: arrivo all'aeroporto, mi rilevano la temperatura e... mi rimandano indietro, costringendomi a vivere due settimane in hotel». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino