CANNES - «Almodovar è il mio mentore, gli devo tutto. Ci conosciamo da quarant'anni, lo stimo e gli voglio bene. Non è un segreto che il personaggio che...
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Sullo sfondo della storia c'è la movida madrilena degli anni Ottanta, adrenalina, follie e notti in cui, per dirla con il regista, «poteva succedere di tutto». Sono i tempi di «Labirinto di passioni», «Matador», «La legge del desiderio». «Pedro era l'enfant terrible del cinema spagnolo, era esploso rompendo le convenzioni, tutto quel che lo riguardava era sopra le righe. Ma nel nostro film quell'epoca è solo un ricordo. Ora non ha perso la sua personalità, l'ha solo affinata, contenuta. Ed era a quel modello che dovevo rifarmi». Sul set il regista ha voluto i suoi mobili, le sue suppellettili, ha voluto che Banderas vestisse i suoi abiti. Non se n'è sentito schiacciato l'attore? «Non ho avuto paura, alla fine si trattava solo di un personaggio». Si è lasciato l'America alle spalle, ne ha nostalgia? «Hollywood non è più la stessa, è diventata un brand spendibile su varie piattaforme. Ma io continuo ad amare il cinema nelle sale».
C'è delusione per la mancata Palma d'oro a «Dolor Y Gloria»? Il presidente Inarritu taglia corto: «Abbiamo molto sofferto di non poter premiare tanti autori e opere che avrebbero meritato di più. Ma il gioco era questo e abbiamo fatto il possibile. Anche perché non eravamo qui per giudicare, ma per ottenere un risultato comune nelle nostre differenze». E l'italiana Alice Rohrwacher: «Il che non vuol dire che non abbiamo molto discusso su ogni titolo, ma alla fine abbiamo votato: sono le regole della democrazia». Verdetto politico? Ancora Inarritu: «Volevo che vedessimo i film senza il peso della storia dei loro autori o quello dei temi trattati. E così abbiamo lavorato seguendo le emozioni, confrontandoci con la passione degli amanti di cinema. Ma il nostro è un verdetto strettamente cinematografico e non politico. Non avevamo messaggi da dare, semmai voci e passioni da ascoltare». Il Gran Premio a Mati Diop per «Atlantique» ha sorpreso perfino la stessa autrice. «Al momento di decidere ci siamo trovati d'accordo senza incertezze. Anche perché - dice Rohrwacher - il dramma di questi ragazzi che ogni giorno muoiono in mare cercando una vita migliore è dolorosamente noto. Ma ci ha molto colpito il punto di vista della regista, che sta dalla parte delle donne e di quelli che restano». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino