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Il giorno dopo il popolo del rock, perplesso e attonito, al nunzio sta. Charlie Watts non c'è più. E con lui, l'unico «bravo ragazzo» degli ex ragazzacci Rolling Stones, forse si è fermato il tempo del rock. Davvero Mick Jagger e Keith Richards se ne andranno in concerto dal 22 settembre, con un tour al via da St. Louis, sostituendolo con Steve Jordan, un giovanotto di 64 primavere?
I Led Zeppelin si sciolsero all'indomani della morte del loro, altrettanto mitico batterista, John Bonham. Lui se n'era andato, soffocato nel suo stesso vomito, a soli 32 anni, il 25 settembre 1980. Il 2 dicembre di quell'anno Page, Plant & Co. affidarono alla stampa - i social erano lontani da venire - un secco comunicato: «Desideriamo rendere noto che la perdita del nostro caro amico e il profondo senso di rispetto che nutriamo verso la sua famiglia ci hanno portato a decidere in piena armonia tra noi ed il nostro manager che non possiamo più continuare come eravamo». Si sciolsero per non riformarsi praticamente mai, tranne rare eccezioni che confermarono la regola/decisione presa.
Diversamente si comportarono gli Who, ancora in attività, dopo la morte del loro batterista, altrettanto leggendario, altrettanto vittima della vita spericolata: Keith Moon spirò il 7 settembre 1978, anche lui a 32 anni, per overdose di tranquillanti, dopo un party organizzato da Paul McCartney. Townshend, Daltrey ed Entwistle erano già on the road l'anno successivo, con Kenney Jones (ex Small Faces e Faces) dietro i tamburi. Nemmeno la successiva scomparsa di Entwistle nel 2002 cambiò la situazione: sono ancora lì, avvinti come l'edera a una roccia, al rock che fu.
Che faranno ora i Rolling Stones? Certo i biglietti venduti, certo il settore è in crisi causa pandemia e rinunciare a un business milionario creerebbe problemi a tutti, anche i lavoratori-ultima ruota del carro. Certo, lo stesso Watts, peraltro cosciente delle proprie condizioni di salute, nell'annunciare che la malattia lo costringeva a rinunciare al «No filter tour» della ripartenza, aveva detto la frase fatale: «The show must go on».
Chiuso per lutto o per sempre? Solo Paul Simon (ma sembra ci abbia ripensato), Elton John (ma è ancora alle prese con il tour dell'addio) e Joan Baez tra le leggende viventi del rock hanno avuto il coraggio di scegliere la pensione. Gli altri, con in testa sua Bobbità Dylan, neo-ottantenne, si ostinano a dichiararsi «forever young» su un palco o in uno studio di registrazione. Ieri c'è stato persino chi ha immaginato l'ibrido insensato di una bestia a due teste, un supergruppo che tenga insieme i due Beatles superstiti, Paul McCartney e Ringo Starr, con i due Gemelli Scintillanti Jagger e Richards. E come dovremmo ribattezzarli? Rolling Beatles? BeatStones? Meglio non partecipare al gioco blasfemo, consapevoli anche della storica clausola contrattuale che prevede che i concerti della band di «Satisfaction» possano essere annullati solo in assenza di Mick Jagger e Richards.
Cosa vuoi che sia la morte di un batterista? Hanno rimpiazzato Keith Moon, lo faranno anche con Charlie Watts, aspettiamo che si celebrino i funerali, aspettiamo il retorico messaggio di Mick e Keith del tipo: «Lui avrebbe voluto così», «non sarà la stessa cosa senza di lui»... Ma Tony Barrell, giornalista inglese e autore di un saggio sui grandi batteristi, ha esplicitamente invitato le Pietre Rotolanti a fermarsi, a chiudere bottega, «per rispetto a Watts», perché «non sarà più lo stesso suono».
«Lavorare per noi è un'abitudine. Che faremmo altrimenti?», rispose Richards l'anno scorso a chi gli chiedeva quando avrebbe appeso la chitarra al chiodo. Forse quei due (ex) ribelli rock che credevamo immortali dovrebbero ricordarsi da dove, come e perché erano partiti, che cosa urlavano in «Satisfaction». Forse possono rinunciare ad essere la migliore cover band - o parodia, se preferite - della migliore rock and roll band di tutti i tempi. Perché, già sopravvissuti alla morte di Brian Jones (3 luglio 1969), i Rolling Stones potrebbero andare avanti anche senza Charlie Watts, ma troppi fantasmi si affollerebbero davanti ai loro/nostri occhi e, poi, non è più divertente intonare «Brown sugar» con il defibrillatore a portata di mano.
Intanto, noi mettiamo su l'ennesimo vinile, ora tocca a «Street fighting man». E sappiamo che se gli Stones andranno in tour saremo comunque ancora sotto il palco. A far finta di essere sani, giovani proprio non si può più.
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