Claudio Bisio versione regista, la Shoah con gli occhi dei bambini

Debutto dietro la macchina la presa con una storia tra commedia e commozione: i complimenti da Liliana Segre

Claudio Bisio in una scena del film
Per la sua prima volta dietro la macchina da presa, Claudio Bisio ha scelto di percorrere strade diverse da quelle che hanno fatto di lui un campione della commedia brillante:...

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Per la sua prima volta dietro la macchina da presa, Claudio Bisio ha scelto di percorrere strade diverse da quelle che hanno fatto di lui un campione della commedia brillante: «L’ultima volta che siamo stati bambini», in sala con Medusa in 350 copie da domani, a ridosso dell’ottantesimo anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma, è infatti una storia toccante che tiene insieme leggerezza e commozione sullo sfondo della più grande tragedia del Novecento, la Shoah.

L’ispirazione nasce dal libro omonimo di Fabio Bartolomei (edizioni e/o). «Quando l’ho letto nel 2019 ho sorriso e pianto» dice Bisio. «Era un racconto importante che racchiudeva emozioni non facili da tenere in equilibrio, ma lo scrittore ci era riuscito in modo meraviglioso. Allora mi sono chiesto: si può narrare l’orrore senza mai mostrarlo? E lo si può fare attraverso lo sguardo inconsapevole di tre bambini di nove anni?». 

Dunque, i bambini. A Roma, nell’estate del 1943, quattro bambini giocano alla guerra mentre intorno impazza la guerra vera. Italo (Vincenzo Sebastiani) è il figlio del federale, Cosimo (Alessio Di Domenicantonio) ha il papà al confino, Vanda (Carlotta De Leonardis) è orfana e credente, Riccardo (Lorenzo McGovern Zaini) viene da un’agiata famiglia ebrea. Sono legati da un patto di sangue, anzi «di sputo» perché tagliarsi fa male, e quando il ragazzino ebreo viene portato via dai tedeschi assieme ad altre mille persone del Ghetto, gli altri si mettono in viaggio seguendo i binari di un treno speciale per convincere i nazisti a liberarlo. Lungo la strada incontrano disertori, soldati allo sbando, famiglie affamate e stremate dalle privazioni.

Ma non sono proprio soli. Sulle loro tracce s’incamminano due adulti decisi a riportarli indietro: il fratello di Italo, Vittorio, eroe di guerra fascista (Federico Cesari) e Agnese, giovane suora dell’orfanotrofio dove vive Vanda (Marianna Fontana). «Il libro e la sceneggiatura sono antecedenti alla guerra in Ucraina» commenta Bisio, «e con questo film non abbiamo certo immaginato di poterla fermare, ma speriamo che almeno possa far riflettere. E guardando alle atrocità che stanno accadendo in queste ore anche in altri paesi, mi viene da pensare che senza volerlo siamo entrati in territori terribilmente attuali». 

Accanto ai piccoli protagonisti («piccoli solo di età, tutti hanno già un bel curriculum alle spalle e conoscevano meglio di noi regole e orari del set»), Claudio Bisio si è ritagliato un cammeo. È lui il federale che si vede all’inizio del film. «Mi sono preso mezza posa, è stata la mezza giornata più faticosa di tutta la lavorazione. Nasco attore e non lo rinnego, ma qui ho scelto di passare la mano, anche perché non c’erano ruoli adatti a me. Per interpretare il federale mi sono visto alcuni filmati del Duce, il mio è iperrealismo, non parodia». Com’è nato il progetto? «Il libro mi ha conquistato, è stato un vero colpo di fulmine. Abbiamo preso i diritti ma non pensavo alla regia, hanno insistito i produttori». Il pensiero va inevitabilmente a «La vita è bella», ma anche «alle tante storie su questi temi universali, come “Train de vie”, ”Jojo Rabbit“, ”I Goonies” o ”Stand by me”» continua il neoregista. Un bilancio dell’esperienza? «Sono contento, è esattamente il film che volevo fare». La difficoltà più grande? «Trovare il giusto equilibrio di toni tra emozione e leggerezza. Doveva essere una favola, una storia di fantasia immersa in una tragedia reale e sono fiero dell’impostazione. Se ci sono riuscito lo devo ai tanti “numeri uno” del cinema italiano che hanno collaborato, sia dal punto di vista artistico che tecnico, come Pivio e De Scalzi per le musiche».

Per la documentazione del film che sarà visto nelle scuole, dice l’ad di Medusa Giampaolo Letta, per mantenere viva la memoria di ciò che è stato, va segnalato l’importante contributo della comunità ebraica di Roma. E a Bisio è arrivato anche il messaggio commosso di Liliana Segre, che ha conosciuto gli orrori della Shoah. «Caro Claudio», gli ha scritto la senatrice a vita, «ho molto apprezzato il tuo film perché hai saputo rendere la freschezza e l’innocenza dei bambini con un tratto talmente sensibile da offuscare la tragedia che c’è sullo sfondo».

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Il Mattino