Claudio Bisio versione regista, la Shoah con gli occhi dei bambini

Debutto dietro la macchina la presa con una storia tra commedia e commozione: i complimenti da Liliana Segre

Claudio Bisio in una scena del film
Claudio Bisio in una scena del film
di Titta Fiore
Martedì 10 Ottobre 2023, 23:27 - Ultimo agg. 12 Ottobre, 07:16
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Per la sua prima volta dietro la macchina da presa, Claudio Bisio ha scelto di percorrere strade diverse da quelle che hanno fatto di lui un campione della commedia brillante: «L’ultima volta che siamo stati bambini», in sala con Medusa in 350 copie da domani, a ridosso dell’ottantesimo anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma, è infatti una storia toccante che tiene insieme leggerezza e commozione sullo sfondo della più grande tragedia del Novecento, la Shoah.

L’ispirazione nasce dal libro omonimo di Fabio Bartolomei (edizioni e/o). «Quando l’ho letto nel 2019 ho sorriso e pianto» dice Bisio. «Era un racconto importante che racchiudeva emozioni non facili da tenere in equilibrio, ma lo scrittore ci era riuscito in modo meraviglioso.

Allora mi sono chiesto: si può narrare l’orrore senza mai mostrarlo? E lo si può fare attraverso lo sguardo inconsapevole di tre bambini di nove anni?». 

Dunque, i bambini. A Roma, nell’estate del 1943, quattro bambini giocano alla guerra mentre intorno impazza la guerra vera. Italo (Vincenzo Sebastiani) è il figlio del federale, Cosimo (Alessio Di Domenicantonio) ha il papà al confino, Vanda (Carlotta De Leonardis) è orfana e credente, Riccardo (Lorenzo McGovern Zaini) viene da un’agiata famiglia ebrea. Sono legati da un patto di sangue, anzi «di sputo» perché tagliarsi fa male, e quando il ragazzino ebreo viene portato via dai tedeschi assieme ad altre mille persone del Ghetto, gli altri si mettono in viaggio seguendo i binari di un treno speciale per convincere i nazisti a liberarlo. Lungo la strada incontrano disertori, soldati allo sbando, famiglie affamate e stremate dalle privazioni.

Ma non sono proprio soli. Sulle loro tracce s’incamminano due adulti decisi a riportarli indietro: il fratello di Italo, Vittorio, eroe di guerra fascista (Federico Cesari) e Agnese, giovane suora dell’orfanotrofio dove vive Vanda (Marianna Fontana). «Il libro e la sceneggiatura sono antecedenti alla guerra in Ucraina» commenta Bisio, «e con questo film non abbiamo certo immaginato di poterla fermare, ma speriamo che almeno possa far riflettere. E guardando alle atrocità che stanno accadendo in queste ore anche in altri paesi, mi viene da pensare che senza volerlo siamo entrati in territori terribilmente attuali». 

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Accanto ai piccoli protagonisti («piccoli solo di età, tutti hanno già un bel curriculum alle spalle e conoscevano meglio di noi regole e orari del set»), Claudio Bisio si è ritagliato un cammeo. È lui il federale che si vede all’inizio del film. «Mi sono preso mezza posa, è stata la mezza giornata più faticosa di tutta la lavorazione. Nasco attore e non lo rinnego, ma qui ho scelto di passare la mano, anche perché non c’erano ruoli adatti a me. Per interpretare il federale mi sono visto alcuni filmati del Duce, il mio è iperrealismo, non parodia». Com’è nato il progetto? «Il libro mi ha conquistato, è stato un vero colpo di fulmine. Abbiamo preso i diritti ma non pensavo alla regia, hanno insistito i produttori». Il pensiero va inevitabilmente a «La vita è bella», ma anche «alle tante storie su questi temi universali, come “Train de vie”, ”Jojo Rabbit“, ”I Goonies” o ”Stand by me”» continua il neoregista. Un bilancio dell’esperienza? «Sono contento, è esattamente il film che volevo fare». La difficoltà più grande? «Trovare il giusto equilibrio di toni tra emozione e leggerezza. Doveva essere una favola, una storia di fantasia immersa in una tragedia reale e sono fiero dell’impostazione. Se ci sono riuscito lo devo ai tanti “numeri uno” del cinema italiano che hanno collaborato, sia dal punto di vista artistico che tecnico, come Pivio e De Scalzi per le musiche».

Per la documentazione del film che sarà visto nelle scuole, dice l’ad di Medusa Giampaolo Letta, per mantenere viva la memoria di ciò che è stato, va segnalato l’importante contributo della comunità ebraica di Roma. E a Bisio è arrivato anche il messaggio commosso di Liliana Segre, che ha conosciuto gli orrori della Shoah. «Caro Claudio», gli ha scritto la senatrice a vita, «ho molto apprezzato il tuo film perché hai saputo rendere la freschezza e l’innocenza dei bambini con un tratto talmente sensibile da offuscare la tragedia che c’è sullo sfondo».

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