De André parte da Napoli Nel nome del padre e del figlio

Cristiano De André
Ttutti tornammo, e non a stento, sul luogo del delitto. Cristiano De André canta il sommo padre in quel teatro Augusteo in cui suonò con lui; in platea i padri sono...

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Ttutti tornammo, e non a stento, sul luogo del delitto. Cristiano De André canta il sommo padre in quel teatro Augusteo in cui suonò con lui; in platea i padri sono arrivati con i figli, qualcuno che si chiama Fabrizio proprio come l’amico fragile, i pugni in tasca, i sorrisi tirati, le canzoni tutte tenute a mente, oltre che e a cuore.

È troppo facile, ma anche troppo difficile, il compito di questo ragazzo cresciuto, ma costretto ancora ad essere «figlio di». Il live appena uscito, « De Andrè canta De Andrè vol. III», e questo tour partito proprio da Napoli, lo riconsegnano a un paragone ingeneroso, ma, nello stesso tempo, riconsegnano a noi la gioia di un canzoniere straordinario, che lui un po’ rispetta ed un po’ brutalizza, tra rock e Coldplay, chitarre e tastiere. Con più di un testo da mandare a memoria meglio, con una forma fisica non perfetta e qualche particolare da rodare ancora, Cristiano inizia dalla «Canzone del maggio», e sembrano davvero milioni di anni fa quelli evocati da storie che furono di ordinaria quotidianità come «Canzone per l’estate» e «Il bombarolo», quando il personale era politico e viceversa, quando la politica era pulsione e tensione verso qualcosa e qualcuno.
L’amarcord - generazionale, culturale - è dietro l’angolo mentre «La guerra di Piero» diventa quasi un drammatico recitativo e «Creuza de ma» continua a condurre su quelle sponde dove nessuno avrebbe mai dubbi sulla necessità della legge sullo ius soli. «Coda di lupo» o i bis di «Il pescatore» e «Volta la carta» guardano alla West Coast, «Amore che vieni, amore che vai» è poco a fuoco, «Quello che non ho» è un rockaccio pestone, «Don Raffae’» il crudele racconto di quello che non chiamavamo ancora Gomorra, ma che a Gomorra ha preparato la strada.

Con l’aiuto di Osvaldo Di Dio (chitarre), Massimo Ciaccio (basso), Davide Devito (batteria) e Max Marcolini (tastiere, arrangiamenti), sfilano «Sinàn Capudàn Pascià», «’Â çímma», «Khorakhané», «Una storia sbagliata», «Hotel Supramonte», e ancora, «Il testamento di Tito», «Dormono sulla collina», «Fiume Sand Creek»: Cristiano potrebbe farne altri 5-6 di dischi e di tour dedicati al genitore e nuovi ragazzi, come successo all’Augusteo, si aggiungerebbero ai ragazzi di ieri, felici di poter condividere canzoni degne di questo nome, parole che sanno essere pietre o rose a seconda della bisogna. Ma, forse, prima o poi, Cristiano dovrà riprendere la sua strada e noi, ritrovare un altro modo, che non inizi a scimmiottare le cover band, per tuffarci ancora in quelle melodie d’amore e d’anarchia. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino