Si spara e si muore nell'incipit di «'Nfaccia». Si spara e si muore nella successiva «Pe' sempe». Valerio Apice, per molti semplicemente Vale...
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Nei venti minuti del docufilm l'artista si mostra per quello che è, racconta da dove viene: i genitori, la fidanzata Fabiana, Marianella, il Terzo Mondo (dove vive lui), il rione Berlingieri, le Case azzurre... E gli amici, che sono diventati la sua squadra: i giovani producer Yung Snapp e Niko Beatz, ma anche il barbiere, il tatuatore, chi lo segue passo dopo passo.
Atteggiamenti gangsta non mancano («Gotti»), come i machismi di turno e il catalogo delle marche in cui il girone rap cerca ormai da troppi anni la vendetta per la povertà in cui ha messo radici senza che nessuno le annaffiasse. Ma poi spunta fuori il cloud rap con le sue atmosfere melanconiche ai confini con la trap più emo, soprattutto nei testi in italiano, ma non solo, le questioni sentimentali rubano spazio alla guerriglia di quartiere, «Solo piano» mette in evidenza uno strumento non certo tradizionale nella produzione trap, «'O mare» viene paragonato all'amata madre, «'Nnammurat''e te» trova il coraggio di cantare mettendosi in panni femminili, smontando nel mondo più potente possibile le accuse di maschilismo ed omofobia che sarebbe bello, comunque, vedere scomparire.
Se incontra Geolier Vale torna «int''o rione» e su un drill del defunto Pop Smole reclama il primato dell'onda lunga di Secondigliano e, tra una spacconata e l'altra, ci presta una definizione come «simm tutt secondin/ co giubbin e Valentino», sfiorando la consapevolezza di una vita-galera, in abiti griffati però.
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Il Mattino