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Solo Orietta Berti (72 anni e 12 partecipazioni) conta più presenze di lui (52 anni) al Festival: Francesco Renga è al suo nono Sanremo (otto da solista e uno con i Timoria), compresa una vittoria, nel 2005, con «Angelo»: «Quest'anno, con tanti ragazzi dai 18 anni in su, mi sento un po' lo zio veterano dell'Ariston, se non il papà».
Su alcuni dei concorrenti, confessa, «mi sono aggiornato chiedendo ai miei figli», racconta, parlando di Jolanda e Leonardo, avuti da Ambra Angiolini, rispettivamente 17 e 14 anni, anche se qualcuno dei suoi «rivali», come Colapesce e Dimartino, erano tra gli autori del suo ultimo disco, «L'altra metà»: «Sono stato al Festival la prima volta quando avevo l'età loro, è motivo di orgoglio esserci ancora e giocarmela sullo stesso terreno. La mia prima volta fu tra i giovani. Invece è emblematico che oggi ci siano tanti giovani che debuttano tra i big, in questo il festival è cambiato, per me positivamente».
La questione anagrafica, la rottamazione in atto nella canzone italiana sarà al centro di questa edizione n. 71 al via il 2 marzo. Insieme alla pandemia, al teatro senza pubblico, all'orchestra in mascherina: «Questo Festival rimarrà negli annali, anche perché speriamo tutti sia l'unico così.
«Quando trovo te», al primo - e finora unico - ascolto, non è il migliore dei suoi pezzi, ma mette comunque al centro di tutto la sua straripante vocalità. Scritto con Roberto Casalino e Dario Faini (cinque i suoi pezzi in gara, compresi quelli che firma con lo pseudonimo di Dardust), tiene insieme archi e accelerazioni ritmiche: «Per la prima volta non arrivo con una ballad». Parla d'amore, ma, a ben guardare, l'eco della pandemia c'è tutto, sin dall'incipit: «Guarda un po' la mia città è insonne/ e ha smesso di sognare/ ... questa volta ho come l'impressione/ che la speranza abbia cambiato umore»: «Canto il ricordo che riporta alla normalità, come la promessa che qualcuno ti aspetta a casa, come le piccole cose che salvano l'anima, quelle che tutti abbiamo riscoperto durante la clausura. Canto l'oblio salvifico, il dimenticare come forma di protezione da una vita che spesso ci costringe alla fretta. Canto il tesoro che ognuno di noi nasconde nel proprio cuore per ripararlo dal casino della quotidianità e lasciarlo libero quando serve per riaprire gli occhi su una realtà che non è nera come crediamo».
Ìl pezzo, conferma, è ispirato «dalle sensazioni provate durante il lockdown. Chiusi dentro casa abbiamo ritrovato, o ci siamo illusi di ritrovare, visto che oggi è tutto perso, il senso della comunità. Anche io mi sono ritrovato a dare una mano concreta nella mia Brescia».
Ora però, c'è la terra dei cachi come orizzonte, ci sono i giovanotti del nuovo pop italiano da sfidare: «La sfida è sempre e solo con noi stessi. Sarà difficile fare a meno del pubblico, cantare nel teatro vuoto. Il feedback della platea ti dice come stai andando, come sei andato. Pazienza, canteremo senza rete, cercheremo nel nostro intimo la concentrazione necessaria per portare la nostra voce a chi sta a casa. Comunque gli applausi dell'Ariston mi mancheranno. Come i tradizionali bagni di folla, il rito dei selfie e degli autografi. Ma va bene anche così, se si riparte».
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