VENEZIA - Nella Mostra della «ripartenza» assume un colore diverso anche il gioco del Totoleone, perché in un anno così complicato e difficile per tutta...
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Alla giuria guidata dalla battagliera Cate Blanchett, sempre in prima linea sul fronte della parità di genere e diritti delle donne, potrebbero essere piaciuti i film che hanno saputo affrontare con la potenza delle immagini o con la delicatezza visionaria della poesia l'universo femminile raccontato dallo sguardo delle autrici, mai così numerose al festival (otto cineaste su diciotto registi in gara). E quindi, in testa al gradimento, ecco «Le sorelle Macaluso» di Emma Dante, «Quo vadis, Aida?» di Jasmila Zbanic sull'orrore di Srebrenica, «The World to Come» di Mona Fastvold su una delicata storia d'amore tra donne nel West americano di fine Ottocento, con una lanciatissima Vanessa Kirby, l'attrice che in «The Crown» interpreta la principessa Margareth d'Inghilterra e alla Mostra porta anche l'urticante «Pieces of a Woman». Tra le attrici si segnala la prova di Romola Garai nei panni di «Miss Marx» nel film di Susanna Nicchiarelli, mentre «Cari compagni!» di Konchalovsky e l'ipnotico «The Disciple» di Chaitanya Tamhane, sul mondo della musica classica indiana, potrebbero correre per uno dei premi maggiori.
Domani sapremo in quale direzione andrà il futuro prossimo della settima arte. Intanto ieri al Lido sono passati due deliziosi documentari sul grande cinema italiano dei tempi d'oro che hanno avuto il merito di far rivivere gli splendori della creatività autoriale e del grande artigianato di un'epoca capace di dare vita a capolavori come «Roma città aperta», «Umberto D», «La Dolce Vita». Alla rocambolesca avventura di quest'ultimo nell'anno del centenario felliniano, e soprattutto alla genialità del suo produttore, il napoletano Peppino Amato, è dedicato «La verità sulla Dolce Vita» realizzato da Giuseppe Pedersoli, il figlio di Bud Spencer che di Amato era il nipote, attingendo a una messe incredibile di documenti inediti e di materiali di repertorio. Lettere, contratti, testimonianze sulle astuzie di Amato per convincere Dino De Laurentiis a cedergli la sceneggiatura di Fellini e sullo scontro titanico tra il produttore e Angelo Rizzoli, per portare a termine quel film costosissimo, e con il regista per convincerlo a tagliare quattro ore di girato. E poi i cimeli, le liti, il trionfo di Cannes. Dice Pedersoli: «Volevo restituire un'emozione, la narrazione del cinema ha un debito su certe figure professionali come i produttori. Peppino era un pioniere dotato di un intuito incredibile, scaltro, furbo. Sentivo un debito di riconoscenza verso un uomo così geniale da non fermarsi davanti a nulla». In conferenza stampa una piccola coda polemica: Umberto Rondi, figlio dello sceneggiatore Brunello, lo ha accusato di aver omesso il nome del padre. «Ci siamo basati sulla inconfutabile veridicità dei documenti di mio nonno», la replica di Pedersoli. «La verità sulla Dolce Vita» arriverà in sala dal 15 settembre.
Uscirà invece il 26, 27 e 28 ottobre con Nexo «The Rossellini's», il documentario ironico, divertente, affettuoso e disincantato che Alessandro Rossellini ha dedicato alla strepitosa famiglia allargata del grande regista, ripescata in un viaggio tra tre continenti. «Dalla rossellinite non si guarisce, noi siamo gli United Colors of Rossellini e questo, più che un film, è una gigantesca seduta psicanalitica durante la quale ho cercato di curare la sindrome che affligge la famiglia: l'ansia da prestazione. Perché puoi essere bravo e colto, ma non farai mai Roma città aperta, bella e di successo, ma non sarai mai meravigliosa come Ingrid Bergman, la madre dei miei zii Isabella, Ingrid e Robertino. Mostrare con chiarezza il mondo di Rossellini, a costo di tirare giù il mito dall'altare, era un modo per liberarci del fardello del nostro cognome». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino