Festival di Cannes 2021, Julia Ducournau nuova regina dell'horror: «La perfezione? Vicolo cieco»

Festival di Cannes 2021, Julia Ducournau nuova regina dell'horror: «La perfezione? Vicolo cieco»
La Palma d'oro trasforma la semisconosciuta Julia Ducournau in una stella di prima grandezza nel giro di poche ore, il tempo di passare dal palco del Palais alla cena di gala....

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La Palma d'oro trasforma la semisconosciuta Julia Ducournau in una stella di prima grandezza nel giro di poche ore, il tempo di passare dal palco del Palais alla cena di gala. È l'effetto Cannes. Anche alla divina Sharon Stone, che ha consegnato il massimo premio alla regista di «Titane», accadde la stessa cosa: arrivò sulla Croisette con «Basic Instinct», ignota ai più, e il giorno dopo era una diva superglam, complice il celebre accavallamento di gambe. Julia, alta, bella, bionda e tatuata, arriva sul tetto del mondo del cinema a balzi giganteschi, passando dalla storia cannibale di «Raw - Una cruda verità» che la lanciò nel 2016 alla Quinzaine, all'horror-thriller cyberpunk «Titane» che ha conquistato la giuria (almeno la parte femminile di essa, quest'anno per la prima volta maggioritaria) e diviso critica e pubblico per gli eccessi spudorati. La sua vittoria, a 28 anni dall'affermazione di Jane Campion con «Lezioni di piano» ex aequo con Chen Kaige, è significativa (e immersa nell'«air du temps») per molti aspetti: non solo perché rende finalmente merito a una creatività femminile che non ha paura dei generi e dell'eccesso, ma perché arriva con un film fortemente contemporaneo per i temi - la fluidità, la diversità «mostruosa», la condivisione - e il modo decisamente rock di affrontarli.

In «Titane» la protagonista Alexia/Adrien, interpretata da Agathe Rousselle, è una mantide mutante che fa l'amore con auto di lusso e maschera la propria identità sessuale cercando il padre perduto, individuato nel vigile del fuoco pompato di steroidi Vincent Lindon. «La perfezione è un vicolo cieco e la mostruosità, che spaventa alcuni e attraversa il mio lavoro, è una forza per respingere i muri della normalità che ci rinchiudono e ci separano» ha detto la regista al momento della premiazione, per sintetizzare il senso del film. «Siamo al di là dei concetti di genere, è nell'amore che sentiamo chi siamo davvero, nel bisogno avido e viscerale di un mondo più fluido e inclusivo». Appassionata del cinema urticante di Cronenberg e dei brividi dosati con maestria da Hitchcock, Ducournau, comunque vada, ha fatto la storia del Festival. Il suo film, vietato in Francia ai 16 anni, uscirà anche da noi distribuito da I Wonder (come «Annette» e «Nitram»), ancora non si sa quando. La sua vittoria, che segue il doppio trionfo di Chloé Zhao a Venezia e agli Oscar con «Nomadland», dà il segno di un cambiamento importante e non episodico. 

Quanto a Spike Lee, stretto nel completino magrittiano spennellato d'azzurro, questa volta non ha fatto la cosa giusta. Ma anche lui, a suo modo, ha fatto la storia. La sua presidenza verrà ricordata per la gaffe memorabile della Palma annunciata al momento sbagliato («ho fatto un casino») e per il verdetto travagliato. Il doppio ex aequo per il Grand Prix e il Prix du Jury testimonia di un confronto vivace che non ha trovato altra sintesi se non la banale moltiplicazione dei premi. Per il resto, il Festival ha confermato la propria vocazione di mondanità e di impegno, prendendo posizione contro i totalitarismi e dando voce ai cineasti perseguitati dai regimi illiberali dei propri paesi. In un'edizione extralarge che aveva l'ambizione di compattare due annate in una, Cannes non ha mancato di essere, com'è tradizione, una grande vetrina sul mondo, fin troppo ricca. E, dal punto di vista organizzativo, un Festival fatto in piena estate, con obbligo di tamponi ogni 48 ore e senza distanziamento in sala, è stato un impegnativo stress test. La defezione di una primadonna come Léa Seydoux, risultata positiva al Covid malgrado il doppio vaccino, il mancato arrivo di altre star, le voci circolate e ufficialmente smentite su possibili focolai, hanno ricordato a tutti che la pandemia è ancora in atto. «È stata dura, complicata, ma ce l'abbiamo fatta» ha detto in chiusura il delegato generale Thierry Frémaux. Si voleva dare una segnale forte di ripartenza per un'industria, quella dell'audiovisivo, duramente colpita dal confinamento. Dopo lo stop forzato del 2020, Cannes è ripartita. A settembre toccherà a un altro appuntamento festivaliero di rilievo mondiale, la Mostra di Venezia, che già l'anno scorso ha portato a termine un'edizione impeccabile. Il 26 luglio l'annuncio del programma. 

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Il Mattino