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«Nella scuola italiana c'è stata una cesura dopo la pandemia: perché la tv non la racconta?». Serpeggiava un certo malumore ieri tra i docenti del liceo Mamiani di Roma, scelto per presentare la fiction Un professore, con Alessandro Gassmann e Claudia Pandolfi, in onda in sei prime serate su Rai1 da giovedì. Tema della serie, girata dal 66enne Alessandro D'Alatri e scritta dal 74enne Sandro Petraglia: la scuola. Non quella di oggi, reduce dalla dad, con le mascherine e gli strascichi pandemici, ma un'istituzione «immutabile, che giudica i ragazzi senza aiutarli a unire i puntini, a farsi domande - diceva D'Alatri - Insomma, la scuola che ricordo io». Un mondo con le sue criticità - bullismo, omofobia, abuso di tecnologia - in cui irrompe un anticonvenzionale professore di filosofia, il 56enne Gassman, che risveglia negli studenti l'interesse per la ricerca di se stessi.
Gassmann, a Venezia non aveva detto che avrebbe cercato ruoli diversi?
«Infatti: in tv è la prima volta che faccio una commedia. Questo è un personaggio importante per me, lo dico come attore e come padre di un ragazzo di 22 anni (il cantante Leo Gassmann, ndr)».
Perché?
«Perché la scuola è la società del futuro, e il futuro è dei ragazzi. Oggi è fondamentale che chi insegna, più che dare risposte agli studenti, li spinga a pensare e ad appassionarsi».
Si poteva fare di più per la scuola in pandemia?
«Anche se mi piace commentare sui social, non sono un politico. E non ho invidiato la classe dirigente durante la pandemia. Hanno avuto un compito difficilissimo, potevano fare meglio. Ma anche peggio».
Omofobia, bullismo, mancanza di risorse: la scuola come sta?
«Soffre. E soffrono i ragazzi, preoccupati per l'eredità che gli stiamo lasciando, tra clima e diritti civili calpestati.
Domenica era da Fazio quando Spadafora ha fatto coming out. Che ne pensa?
«Che abbiamo ancora bisogno di dire che essere omosessuali è normale. La situazione dei diritti in Italia è in netto peggioramento. Il fatto che una persona debba andare in tv a parlare di certe cose, è un brutto segnale».
Gli spettatori sono in fuga dalla tv: chi guarderà Un professore?
«Dalle piattaforme arriva una produzione immensa di serie di alto livello, non ci si può fare nulla. E prima o poi anche la Rai dovrà adeguarsi alla visione sul computer o sul telefono. Speriamo che gli spettatori guardino Rai1. Per tutti gli altri c'è RaiPlay».
E della crisi delle sale che pensa? Ottimista o pessimista?
«Ottimista per natura, il cinema italiano è in ripresa. Ma nelle sale va il 25 per cento del pubblico e per gli esercenti è un bagno di sangue. Credo che cinema e piattaforme debbano convivere. Anche il mio film, Il silenzio grande, sarà presto su Amazon».
È vero che reciterà in un film alla Brancaleone?
«Sono nel cast del Pataffio di Francesco Lagi. La matrice del film è brancaleoniana, l'ambientazione medievale. Abbiamo girato in Ciociaria insieme a Giorgio Tirabassi, Valerio Mastandrea e Lino Musella, che è il protagonista. Io interpreto frato cappuccio, l'unico che parla solo in latino. Uscirà spero il prossimo anno».
Come mai è così in forma?
«Sto finendo di girare un film d'azione, Il mio nome è vendetta, per Netflix international. Lo gira Cosimo Gomez e da nove settimane non faccio altro che uccidere persone. Vorrei fare solo questo: ci metterei la firma, per una fine carriera alla Charles Bronson».
Il Mattino